Milano: ambulanze soccorrono solo immigrati

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Alcuni estratti di una notte passata dal giornalista de Il Giornale con la Croce Bianca, a Milano:

«Ancor più che in ambulanza, devi andare a vedere i pronto soccorso: lì ormai sono tutti immigrati. E si lamentano, urlano, non aspettano il turno».

A parlare è Giuseppe, 50 anni di servizio in ambulanza e oggi volontario in ambulatorio.

Elisa e Giulia, 22 e 28 anni, le due mascotte in mezzo a sei compagni di viaggio e avventura, sono tranquille: «Ho iniziato 3 anni fa dice Elisa – e svolgo servizio una notte ogni 10 giorni. Una volta sono stata picchiata da un tossico che era in astinenza e chiedeva soldi alle persone in mezzo alla strada, e più il tempo passa meno si può dire di fare una pausa tra un intervento e l’altro». Il ritmo dei soccorsi notturni si è molto intensificato, «dal 2011 non faccio una sola notte senza servizi», «in un weekend a Milano non ci siamo mai fermati, siamo usciti 14 volte». Però «siamo in grado di seguire tutte le emergenze» aggiungono sempre i volontari.

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Si è detto che il servizio sanitario deve devolvere la maggior parte delle proprie risorse per prestare soccorso a persone straniere senza permesso di soggiorno che non contribuiscono pagando la mutua. E questa notte gli interventi sono tutti per soccorrere stranieri: la prima chiamata è un’aggressione dietro alla Stazione Centrale, via Sammartini angolo via Tonale. Due rom hanno assalito un cinese, nato in Olanda e residente in Italia regolarmente. Hanno cercato di rubargli il cellulare e davanti alle sue difese lo hanno malmenato al volto e alla spalla.

La Croce Bianca riparte verso il pronto soccorso del Fatebenefratelli, e una volta arrivata si apre la realtà delle sale d’attesa ospedaliere: a parte una coppia di italiani, gli altri sono per lo più arabi, più una ragazza cinese. Di corsa entrano due genitori con un bimbo in braccio, ecuadoregni, mentre su una barella viene portato un altro giovane, nordafricano, disteso a pancia in giù: «Una rissa, si sono accoltellati» dicono dopo. Il cinese aggredito viene lasciato al pronto soccorso, e subito arriva un’altra chiamata: l’ambulanza accende le sirene e corre verso via Besana, questa volta è un parto. Una corsa mozzafiato per le vie di Milano, il bambino che sta per nascere non è italiano, ma filippino: si lascia la madre partoriente alla Mangiagalli in via Commenda («caso anomalo perché ha 30 anni ed è il primo figlio, solitamente sono più giovani») e via verso i Navigli.

Viene portato al pronto soccorso del San Paolo in via San Virgilio dove, in un’altra sala d’attesa gremita di stranieri si incontra un italiano spaesato: vorrebbe avere informazioni sulle condizioni di suo figlio (2 settimane) che è con la madre in pronto soccorso, ma da ore non riceve notizie. A proposito di bambini, come ultima tappa si lascia l’ambulanza (che è chiamata subito all’uscita del San Paolo per un infarto in via Morgantini, non si conosce ancora la nazionalità del malato) e con la macchina di servizio si torna in via Commenda, questa volta al pronto soccorso pediatrico De Marchi: anche i bimbi in attesa di cure sono principalmente stranieri.

Insomma, pagare le tasse per curare i coloni, quelli che ci stanno sostituendo. E non è solo un problema di clandestini, perché la sostituzione etnica ‘regolare’ non ha esiti differenti: la nostra scomparsa come popolo.

Ai volontari: ma vale davvero la pena, di lavorare per curare chi ci sta invadendo? Non sarebbe meglio lasciare i nordafricani che si accoltellano in mezzo alla strada? Si, sarebbe meglio.