Morta di parto: “Con un cesareo si sarebbe salvata”, ma il governo preme per non farli

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Un’agonia lunghissima con dolori lancinanti all’addome e poi la morte avvenuta il 28 aprile scorso nella clinica Mangiagalli di Milano. Claudia Bordoni, 36 anni e le due gemelle che portava in grembo si sarebbero potute salvare. Sarebbe bastato un taglio cesareo. A dirlo è la perizia medico legale disposta dalla Procura di Milano sul corpo della donna valtellinese e depositata dopo oltre quattro mesi di lavoro.

L’inchiesta ha portato all’iscrizione sul registro degli indagati di due medici e due ostetriche per il reato di concorso in omicidio colposo. Secondo quanto emerso e denunciato dai famigliari, la ginecologa non avrebbe disposto alcun accertamento specifico e le ostetriche non avrebbero dato l’allarme sulle condizioni della donna, mentre la psichiatra avrebbe suggerito una terapia che avrebbe calmato Claudia Bordoni, ma avrebbe anche attenuato i sintomi rendendo più difficile una diagnosi.

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Dal 13 al 20 aprile, la donna, che lavorava nel campo assicurativo, era stata già ricoverata al San Raffaele per complicazioni. Poi il 26 aprile la paziente, la cui gravidanza era considerata ‘a rischio’, si era presentata al pronto soccorso della clinica Mangiagalli e il 27 ricoverata: il giorno dopo il decesso per un’emorragia interna. Secondo il medico legale, Dario Raniero, la donna è morta per un’endometriosi, che colpisce il tessuto uterino. Anche se in quei momenti una diagnosi precisa sarebbe stata quasi impossibile.

Questa ‘cautela’ che negli ultimi mesi gli ospedali hanno nel praticare il cesareo potrebbe dipendere da precise indicazioni del Ministero della Salute che vuole diminuire esami e ‘costose’ operazioni alle donne incinte.