Call Center: schiavi moderni e delocalizzazioni

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In questi giorni si è tornati a parlare di licenziamenti nei call center. Almaviva (uno dei più importanti nel settore) ha annunciato: “L’apertura di una procedura di riduzione del personale, all’interno di un nuovo piano di riorganizzazione aziendale” che prevede “la chiusura dei siti produttivi di Roma e di Napoli ed una riduzione di personale pari a 2.511 persone riferite alle sedi di Roma (1.666 persone) e Napoli (845 persone)”. L’azienda giustifica la sua scelta a cause di esigenze di “contenimento dei costi, ottimizzazione del processo produttivo, efficientamento logistico e valorizzazione delle tecnologie proprietarie”. I sindacati sono sulle barricate, perché l’azienda si è rimangiato l’accordo fatto a maggio. Il governo, dal canto suo, per bocca del viceministro dello Sviluppo economico Teresa Bellanova ha chiesto: “di non andare avanti su una strada senza sbocco, frutto di annunci che appaiono come una vera e propria provocazione mentre è in corso un delicato confronto su più fronti. Si riporti la discussione ai tavoli di confronto preposti, si lascino da parte inutili e dannosi atti ricattatori e si ritorni al buon senso e alla responsabilità con cui invece tutte le parti devono lavorare per una soluzione condivisa e non traumatica”.

Sembrerebbe una vertenza come tante altre. Purtroppo non lo è. Vediamo perché, lo spiega molto bene l’articolo del PN:

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Call center: la delocalizzazione mette in pericolo migliaia di posti di lavoro