Ha ucciso una persona in Nigeria, per questo il giudice ha deciso che aveva le caratteristiche per ottenere lo status di rifugiato. Un assassino.
Siamo a Padova. Un nigeriano stava per essere rimpatriato perché non in possesso dei requisiti per ottenere l’asilo, come dovrebbe essere per tutti i Nigeriani e come accade nel 94 per cento dei richiedenti asilo – ma come tutti ha fatto ricorso a spese nostre, e davanti ai giudici ha confessato con orgoglio: “Ho ucciso una persona”. E siccome la Nigeria è un paese serio, dove gli assassini rischiano la pena di morte, allora non ce lo possiamo rimandare.
E così il tribunale di Venezia ha deciso di ribaltare la decisione della prefettura, che pure aveva valutato “generici, non credibili e incoerenti” i fatti raccontati dall’uomo nella sua richiesta d’asilo. Per il giudice, infatti, bisogna sia tener conto della “grave situazione di insicurezza” nel Paese che impone di “sospendere i rimpatri forzati”, sia del rischio di condanna a morte che l’uomo rischia a tornare a casa.
Ora. La grave situazione di insicurezza è tutta nella testa del giudice. Che ha, è chiaro, una agenda politica. In Nigeria ci sono meno attentati di Parigi.
“Un’altra sentenza che scavalca le leggi vigenti sull’immigrazione e regala lo status di rifugiato addirittura ad un assassino”, commenta Paolo Grimoldi della Lega, “Questo significa che dovremo tenerci qui tutti i rei confessi di omicidio, veri o falsi che siano, che affermano di rischiare la pena di morte nei rispettivi Paesi africani o asiatici? E queste persone, se davvero sono assassini, resteranno ospitati e mantenuti con paghette e telefonini nei nostri alberghi, a spese dei contribuenti, o andranno a ingolfare le nostre galere, comunque sempre a spese dei contribuenti?”