Torino: altri terroristi islamici entrati con permesso di studio

Vox
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Avevamo scritto: http://voxnews.info/2016/08/18/terroristi-isis-in-italia-con-permessi-studio-universita-torino/

Ora scrive la Stampa:

Altri due universitari, sempre di origine tunisina, sono partiti per il jihad in Siria. E non risulta siano morti. C’erano stati altri tre tunisini immigrati, tra il 2011 e il 2013, iscritti al corso di laurea in Lingue e culture dell’Asia e dell’Africa, a Palazzo Nuovo: due sono deceduti sul fronte siriano, entrambi miliziani nelle fila dell’Isis, il terzo, Bilel Chiaohui, è stato fermato dai carabinieri del Ros 15 giorni fa, e poi espulso, dopo la minaccia di trasformarsi in martire come i suoi amici.

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Sono vicende non collegate tra loro e sull’ultima indaga il pm Antonio Rinaudo. I due nuovi foreign fighter di Torino avrebbero ricevuto sovvenzioni dall’Edisu, l’ente per il diritto allo studio, in merito alla dichiarazione di un reddito basso, e l’esenzione dalle tasse. Va detto che nessuno di questi giovani tunisini, che avevano così ottenuto il permesso di studio per risiedere in Italia, ha mai frequentato le aule universitarie di Palazzo Nuovo. Il modulo di iscrizione riporta gli indirizzi di residenze spesso fittizie o addirittura inesistenti. E anche sul passato in Tunisia non ci sarebbero punti di contatto. Sui moduli, le città e le scuole tunisine indicate non sono collegate. Solo dopo le indagini della Digos, una volta constatato che l’iscrizione all’Università era solo un pretesto per restare in Italia e a Torino senza correre il pericolo di essere rimpatriati, i permessi sono stati revocati. Ma nella prima fase avevano superato gli ostacoli burocratici. Nessuna traccia di loro, anche del loro passato, nei palazzi indicati sui certificati presentati, tutti concentrati tra via Berthollet, via Saluzzo, corso Giulio Cesare, corso Novara e i quartieri popolari di Rivalta.

Uomini invisibili, soliti farsi ospitare da connazionali, spesso ignari della conversione in senso radicale dei loro ospiti. Cambiano spesso abitazioni e conducono una vita assolutamente anonima. Neppure frequentano le moschee, né indossano le vesti tradizionali, né hanno barbe incolte o altri segni distintivi. La metamorfosi, semmai, avviene una volta arrivati al fronte, tra mimetiche e armi. Come si vede nelle foto su Facebook. Le indagini di Ros e Digos sono coperte dal massimo riserbo. Ma è implicito che, qui a Torino, come in altre città europee, esiste una rete di reclutamento di aspiranti combattenti. Quanti sono partiti? Difficile trovare una risposta. Forse una decina. I due caduti nel 2015 in Siria, Wael Labidi e Khaled K. (non c’è certezza sul cognome), sono stati celebrati sui profili degli amici come «uomini giusti», «martiri» e «leoni».

Di certo c’è che la loro attività su internet (su cui postavano foto e commenti) si interrompe all’improvviso per non rigenerarsi più. Ci sono infine i «rientrati». Cioè i jihadisti partiti da Torino e ritornati dopo mesi trascorsi in Siria o in Iraq. Uno di loro è stato espulso nel 2014, senza contestargli alcun tipo di reato. Degli altri si sa poco. Navigano sui siti Isis, scambiano foto e proseliti filo-terrorismo ma questo, in Italia, non è un reato. C’è un’ipotesi suggestiva, avanzata da una parte degli investigatori, di promuovere norme simili a quelle già in atto contro la pedo-pornografia. Potrebbe valere lo stesso per post che documentano decapitazioni, appelli a commettere attentati o compiacimento per quelli avvenuti. Unica arma, resta la prevenzione.

Certo, pensano di risolvere il problema degli immigrati terroristi con la censura. Invece che non facendoli entrare.