Un agente di Ferrara ha raccontato al giornale locale il dramma di essere costretto a lavorare tra i clandestini in condizioni di sicurezza quasi nulle e col rischio di ammalarsi. La certezza di ammalarsi.
“Ho scoperto la malattia con un telex del ministero. Diceva che in un gruppo di immigrati, sbarcati sulle nostre coste e poi arrivati al nord, c’era tubercolosi ormai contagiosa”.
Prosegue: “Ci hanno fatto il test di Mantoux, sì quello sul braccio, per verificare chi fosse già positivo. Sono risultato negativo. Quindi si è accertato che non ero mai venuto a contatto con il batterio. A distanza di 15-20 giorni abbiamo ripetuto l’esame. Ero diventato positivo. Contagiato. Sono stato preso alla sprovvista. Il giorno dopo sono andato all’ospedale, reparto malattie infettive. Il primario ha deciso di sottopormi a chemioprofilassi. Una cura di sei mesi. In sostanza, queste medicine dimezzano la possibilità che il contagio diventi malattia”. Non la possibilità di contagiare.
E poi la paura: “Mi dovrò ascoltare. Ogni volta che c’è qualcosa… il pensiero può venire. È capitato. Una notte mi sveglio, sangue dalla bocca, una tazzina, come dicono i medici. Vado al pronto soccorso, spiego il mio problema, mostro le carte. Mi fanno tutti i controlli, il dubbio c’era, va a finire che questo si è preso la tubercolosi e si è bucato i polmoni hanno pensato…”.
Ferrara, Comune dà dei bugiardi ad agenti: “Non avete la Tubercolosi”