Parità dei sessi e matriarcato: due mistificazioni?
di Friedrich von Tannenberg
«La lotta per l’uguaglianza dei diritti è addirittura un sintomo di malattia – ciascun medico lo sa»
F. W. Nietzsche, “Ecce homo”
Mi trovavo a vagare per l’Altaj, regione magica della Federazione Russa (e non è un modo di dire: uno dei centri storici dello sciamanesimo, e, secondo il mito, una delle poche porte, su questa terra, di accesso alla mitica Shangri-La), per valli innevate e fiumi ghiacciati (era la fine di Novembre, e il precoce inverno siberiano era già iniziato da un pezzo). Quelle lunghe camminate mi ispiravano innumeri riflessioni, tutte nel segno delle Civiltà e del loro sviluppo, specialmente nei punti nodali di nascita, decadenza, morte e decomposizione, vicino com’ero ad un’area in cui Mito e Storia hanno posto le loro radici più profonde e insondabili, all’origine di Civiltà Occidentali (luogo di provenienza dei Popoli Indo-arii?) e Orientali, e, nel contempo, terra di eterno nomadismo, in rapporto problematico eppure inevitabile con il corso dei Popoli stanziali.
Una di queste tematiche, partendo dalla generale “femminilizzazione” delle nostre società europeo-occidentali (parallela alla loro degenerazione, indebolimento e morte) fu l’affermazione, entrata nell’insegnamento della Storia degli ultimi decenni, sulla presenza di società a stampo matriarcale, ossia a guida femminile, in misura né più né meno rilevante di quelle patriarcali; anzi, del loro carattere ancora più originario, essendo state probabilmente le prime ad aver preso piede nel bacino del Mediterraneo (e lo avrebbero attestato i culti della Dea Madre), per cedere solo più tardi alla violenza e alla brutalità di quelle patriarcali. Così mi sentii ripetere sin dalle scuole medie, da insegnanti donne, e dai testi ufficiali della scuola di Stato, assorbendo tutto acriticamente, senza sospettare che quel che veniva stampato potesse rispecchiare decisi orientamenti ideologici, e prestarsi a fini di indottrinamento, tanto quanto risultati di ricerche animate dal solo spirito di scoperta della verità fattuale.
Molti decenni (e molti più libri ed esperienze umane) dopo, vagante per i sentieri della Siberia Occidentale, quasi nietzscheano Viandante, accompagnato dalla sua ombra di inquietudini e “malattie” spirituali dell’epoca moderna (e non ha detto il Filosofo che “solo i pensieri che vengono camminando valgono qualcosa”?), l’idea mi tornò alla mente, considerando la popolazione locale, una di quelle passate per più tempo indenni dai cambiamenti e dalle influenze indotte tramite contatti col mondo esterno, con le popolazioni inserite nella Storia.
Ebbene, non si rimarrà stupiti dall’apprendere che in Altaj, come praticamente ovunque, per decine (centinaia) di migliaia di anni, la società era costituita su base patriarcale. Maschi i capi, i guerrieri, i sacerdoti-sciamani. Qualche rarissimo caso di sciamane donne pare si sia verificato, ma portando in sé, appunto, il carattere dell’eccezionalità, causa eventi o capacità del tutto fuori dalla norma. Le donne erano investite (e non “relegate”, come vuole la vulgata femminista) ai ruoli di madre, educatrice, sostegno interno della famiglia e della società. E non pare che se ne siano mai sentite limitate o defraudate.
Perchè, dunque, ogni società umana, sin dalle origini, ha visto questa divisione dei ruoli praticamente identica, ripetersi attraverso tempi e distanze tanto vasti, senza alcuna imposizione esterna (salvo voler accettare la tesi, ridicolmente assurda, di un complotto mondiale dei maschi contro le femmine, tesi non molto lontana da quanto sostenuto dalle “moderne” correnti di interpretazione storica che vanno per la maggiore)? Non sarà che l’essere uomo o donna non venga dal caso? So che le stesse femministe (legate, in una blasfema “Santa Alleanza” con gli ideologi del gender, in un’incessante attività di corruzione del vecchio modello di società) sostengono proprio il contrario: ossia che “maschio” e “femmina” siano poco più che parole, segni di distinzione di apparenze esterne che nulla hanno di proprio, e che ogni caratterizzazione del “maschile” e del “femminile” siano imposizioni culturali provenienti dall’esterno.
Ma la tesi torna a finire nel risibile “piano mondiale” delle elite di praticamente ogni comunità umana dal Paleolitico ad oggi per la sottomissione delle donne a guerrieri “maschilisti. Se dovessimo seguire la semplice logica scientifica, tuttavia, questo quadro non reggerebbe da diversi punti di vista.
Non ha, intanto, nessuna prova materiale che ne giustifichi le conclusioni, che puzzano, già solo per questo, di costruzioni ideologiche finalizzate a qualcos’altro che alla semplice scoperta della verità fattuale (situazione per certi versi simile alla tesi dell’Out of Africa”, che approfondiremo in altra sede). E già questo è sospetto.
In secondo luogo, generalizza una serie di casi (le varie comunità umane) che hanno davvero troppo di differente, nei fattori che ne hanno influenzato la formazione (ambienti esterni, climi, razze, eventi storici, e, perché no? Alimentazione, se non crediamo che Nietzsche sia da buttar via) per poter concludere che le differenti culture espresse abbiano tutte espresso, per ragioni che non ci sono meglio spiegate, una differenziazione dei ruoli sociali di uomo e donna fra di loro simili.
Infine, per voler essere una ricostruzione “scientifica” che faccia giustizia di pregiudizi e luoghi comuni, manca parecchio di razionalità, volendo contrastare una situazione di fatto con spiegazioni inverosimili che renderebbero la stessa esistenza di due sessi differenti qualcosa di assurdo, non spiegabile dal punto di vista dell’utilità ai fini della sopravvivenza o della propagazione della razza, se essi, dal punto di vista sociale, fossero del tutto interscambiabili e privi di qualità specifiche.
Partendo, invece, dal puro dato biologico, molte cose vanno a posto. Sappiamo, dal padre dell’evoluzionismo, che la riproduzione sessuata ha una valenza tutt’altro che indifferente ai fini della procreazione. Le creature che si riproducono da sole, per scissione o auto-inseminazione, raggiungono comunque il fine della riproduzione. Ma, a differenza di quelle sessuate, passano alla prole lo stesso e identico patrimonio genetico del genitore, ivi compresa la stessa vulnerabilità a virus e infezioni che ne fanno creature assai poco resistenti e, di conseguenza, dalla vita breve. La riproduzione sessuata, invece, mescolando i dna di due individui diversi, “complica” la vita a virus che si trovano di fronte, ogni volta, a organismi con cui devono ricominciare daccapo per trovarne eventuali debolezze e attaccarli. Da questo non ne deriva ancora nulla, però, che non sia strettamente biologico. E se ci limitiamo agli organismi viventi in generale, può darsi che ciò sia vero. Né ci importa: non ci interessa, infatti, cercare le valenze metafisiche dell’essere maschio o femmina nel regno animale.
I problemi iniziano per gli apostoli del gender e dell’ideologia femminista proprio quando ci si sposta a considerare gli esseri umani. Uomini e donne, per lo meno da quando cessarono di essere semplici scimmie, hanno assunto aspetti fisici differenti e riconoscibili immediatamente. Se il seno può essere riportato alla funzione puramente riproduttiva (l’allattamento), la corporatura già pone qualche problema: perché quella maschile è più robusta, se le donne sono state chiamate, dalla natura, alla stessa vita attiva degli uomini? Peggio ancora va col cervello: non è mia scoperta che quello femminile sia di dimensioni inferiori a quello maschile.
Se la Natura (dato che escludiamo, per restare sul terreno dell’ideologia dominante, ogni elemento trascendente) ha formato i due sessi differenti solo ai fini della riproduzione, quale senso può avere la differente conformazione di un organo tanto rilevante nella vita sociale e nello sviluppo civile della razza umana? Peggio che andare al buio, quindi, se si vuole rimanere al puro dato materiale e, sopratutto, vedere le differenti funzioni sociali di uomo e donna come l’effetto di un’intenzionale forzatura di un sesso nei confronti dell’altro.
Ma se provassimo a rovesciare l’ordine delle assunzioni? Se provassimo a vedere, anche solo a titolo di ipotesi, la “divisione dei lavori” fra uomo e donna nelle varie società umane come l’effetto, spontaneo, di quelle stesse differenze fisiche e biologiche? I pezzi del mosaico non inizierebbero ad andare ciascuno al suo posto in modo molto più ragionevole e ordinato? E se queste differenze, andando oltre, non fossero semplici dati materiali caduti, per così dire, dalla lotteria del Caso sulla nostra testa, ma riflessi di più alto Ordine, a cui le comunità umane, sin dalle primigenie, si fossero adattate, intuendone la sostanza superiore, tanto superiore che lo stadio materiale ne deve portare i segni di conseguenza?
So che spiegazioni del genere non soddisfaranno alcun razionalista, ma neppure le spiegazioni meramente razionaliste sono soddisfacenti. Di più: nulla che sia Vita, nulla che sia Reale, sopratutto quando si ha a che fare con l’umano, è meramente razionale, anzi, è razionale anche solo in maniera maggioritaria. Lo stesso vivere risponde ad impulsi, istinti, desideri, sentimenti, che non hanno origine razionale, e sulla cui origine la Ragione non ha alcun potere, né conoscitivo, né determinante. Lo stesso fenomeno “Vita” si innesca senza che la Ragione vi abbia alcun ruolo. A meno che non ci si rifaccia almeno ad una Ragione in senso hegeliano. Ma già così, si sta uscendo dal mero razionalismo scientista…
In ogni società umana che non sia l’attuale, l’uomo ha avuto un ruolo di protezione esterna: ha cacciato, ha combattuto e ha portato al nucleo familiare e alla Comunità tutta (questa famiglia “allargata”) la sicurezza dai nemici esterni e la sopravvivenza. Nel contempo, la donna ha avuto il ruolo di collante interno: generatrice ed educatrice della prole, responsabile dell’ordine nella dimora familiare. Ruolo che solo alle menti inaridite e corrotte dalle idee “moderne” di “parità” può apparire riduttivo e mortificante. Per decine (o centinaia) di migliaia di anni le società umane si sono formate e tenute insieme seguendo queste linee di base, e le differenze o le singolarità dovute al clima o a eventi esterni non ne modificano sostanzialmente il quadro: all’Uomo, l’azione formatrice esterna; alla Donna, la tenuta interna.
Non abbiamo notizie di società che abbiano invertito quest’ordine con successo (e con “successo” intendo la durata significativa, la testimonianza del tempo, oltre che la resistenza a shock esterni), se non in qualche mito dal dubbio valore. Vi sono stati, è vero, esempi numerosi di donne che hanno esercitato il potere regale da sole, e questo sin da tempi antichissimi.
Ma, pur lasciando in sospeso se queste regine o imperatrici siano state dei monarchi capaci nonostante il proprio sesso (e sarebbe bello anche approfondire il discorso su quanto conservino di femminile le donne al potere…), piuttosto che in grazia di esso, non presenterebbe grosse difficoltà dimostrare che questi casi, oltre a non aver rappresentato rotture significative nella tradizione di potere maschile (regnavano donne solo quando non c’erano eredi al trono maschi più prossimi), esse stesse non realizzarono neppure modifiche essenziali alla struttura tradizionale della società e ai ruoli sociali di uomo e donna nel mondo in cui vissero.
Solo a partire dal XIX secolo, dopo gli sconvolgimenti sociali delle rivoluzioni politiche e industriali che inocularono nelle società occidentali il virus della “modernità”, quando l’insensatezza divenne lo stato d’animo dominante e le pulsioni suicide l’istinto delle masse, le società occidentali (comprese quelle non europee, ma “occidentalizzate), regno della decomposizione spirituale e della degenerazione morale, poterono pensare come imposture da eliminare o “correggere” secondo nuovi vangeli, quelli che erano stati i frutti naturali del sorgere di ogni civiltà e il sostegno di ogni vita associata. Basterebbe un semplice sguardo alla sanità della vita nelle società odierne, rispetto a quelle passate, per rispondersi su quanto valga il pensiero unico attuale.