Eran trecentotrentatré, eran giovani e forti, e sono morti

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La Corte D’Appelo di Roma ha condannato per “condotta omissiva” il Ministero della Difesa, per non aver adeguatamente protetto il caporalmaggiore Salvatore Vacca, morto a 23 anni di leucemia linfoblastica per le esposizioni a uranio impoverito durante la missione in
Bosnia nel 1998-1999. Stabilito anche un risarcimento di 2 mln alla famiglia.

“C’è la certezza assoluta del rapporto causa-effetto tra l’esposizione all’uranio impoverito e le neoplasie che hanno ucciso 333 ragazzi”, commenta l’Osservatorio Militare.

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Eran trecentotrentatré, eran giovani e forti, e sono morti.

Il caporalmaggiore Salvatore Vacca, militare originario di Nuxis, è morto nel 1999 a soli 23 anni a causa di una leucemia contratta dopo l’esposizione a munizioni all’uranio impoverito durante la missione in Bosnia. E il ministero della Difesa è responsabile di condotta omissiva per non averlo protetto adeguatamente. Lo indica la sentenza di oggi della Corte d’appello di Roma che ha confermato la condanna in primo grado del ministero a risarcire la famiglia del soldato per oltre un milione e mezzo di euro.
Si tratta, spiega Domenico Leggiero dell’Osservatorio Militare, «di una sentenza storica, perché conferma la consapevolezza del ministero del pericolo a cui andavano incontro i militari in missione in quelle zone e sono sicuro che giovedì prossimo in audizione alla Commissione uranio il ministro della Difesa Roberta Pinotti terrà conto di questa decisione».
Il caporalmaggiore è stato impiegato per 150 giorni in Bosnia come pilota di mezzi cingolati e blindati tra il 1998 e il 1999. Nella sua attività Vacca ha trasportato munizioni sequestrate, materiale che, scrivono i magistrati, si sarebbe dovuto considerare «come ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche sprigionate dall’esplosione dei proiettili» e i rischi «si devono reputare come totalmente non valutati e non ottemperati dal comando militare». Questa condotta omissiva, secondo i giudici, «configura una violazione di natura colposa delle prescrizioni imposte non solo dalle legge e dai regolamenti, ma anche dalle regole di comune prudenza».
Il militare è morto di leucemia linfoblastica acuta e c’è, secondo la sentenza, la sussistenza del nesso causale tra la malattia e l’inalazione di agenti tossici nel corso del servizio in Bosnia. Nell’organismo del militare,
infatti, sono state rintracciate svariate particelle di metalli pesanti non presenti per natura nell’uomo e ciò «è la conferma definitiva del reale assorbimento nel sistema linfatico di metalli derivanti dalla inalazione o dalla ingestione da parte del militare nella zona operativa».