Comune Roma regala due ville di lusso alle detenute Rom

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Per una volta prendiamo pari pari un articolo del Giornale, perché non c’è molto da aggiungere, tranne le foto, che trovate lì:
Due ville di lusso nel cuore elegante del quartiere romano dell’Eur, confiscate ai vecchi proprietari e assegnate in comodato d’uso gratuito al comune di Roma nel maggio del 2015, sono pronte per diventare la nuova casa di sei detenute, quasi tutte rom, con i rispettivi figli.

Il progetto, che è sperimentale e sarà realizzato per la prima volta in Italia, è stato pensato e voluto dai rappresentanti dell’ex giunta Marino, e avviato con un protocollo d’intesa firmato dal Ministero della Giustizia, dall’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale e dalla Onlus Poste Insieme, nell’ottobre 2015. La Onlus di Poste Italiane si è impegnata anche a stanziare 150mila euro l’anno per sostenere l’iniziativa: circa 2mila euro al mese per ogni detenuta.

Le perplessità relative ad alcune irregolarità presenti nell’iter del progetto, sono state invece raccolte e descritte in un’interpellanza urgente presentata alla Camera dei Deputati da Renato Brunetta e sottoscritta dai deputati di Forza Italia. Dal motivo del sequestro degli immobili, alla confusione effettuata tra i numeri civici delle due ville in diversi documenti ufficiali, alla destinazione A10, ad uso ufficio, di uno dei due immobili, che risulterebbe di conseguenza inservibile agli scopi del progetto, fino alla trasparenza sui costi: sono molti, infatti, i punti confusi.

“In nessun modo è specificato il costo del progetto, limitandosi gli atti a prevedere che le utenze saranno a carico del comune”, sottolinea l’interpellanza di Forza Italia, così come le altre spese, “ma in questo modo”, accusano i parlamentari azzurri, vengono “aggirate le leggi di bilancio che prescrivono espressa indicazione della copertura di ogni nuova spesa”. Per Forza Italia, inoltre, non risulta nemmeno “reperibile la documentazione specifica relativa al bando di assegnazione e alle delibere del comune”. Nessun bando pubblico e nessuna comunicazione insomma, per invitare altre associazioni o imprese a proporre progetti alternativi per le due ville confiscate.

Poi c’è la confusione sui numeri civici. Nel protocollo d’intesa firmato con il ministero della Giustizia ad ottobre 2015, è la villa di via Kenya 72, quella con destinazione d’uso ufficio, ad essere designata per ospitare le madri detenute, che però risulta essere inidonea a questo scopo proprio perché accatastata come A10. Ma nella successiva determinazione dirigenziale del dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma, quella del 4 febbraio, viene indicata per l’accoglienza delle detenute, invece, l’altra villa, quella di via Algeria 11 angolo via Kenya 70. Ma il problema è che via Algeria 11, fa angolo con via Kenya 72, e non con via Kenya 70, che invece è il civico successivo. Si fa confusione insomma tra i due edifici come se si trattasse di un edificio solo. Quello di via Kenya 70 e quello di via Kenya 72, sono in realtà, però, due edifici differenti che presentano, peraltro, uno i requisiti per ospitare il progetto, e l’altro no.

L’operazione, quindi, secondo l’interpellanza presentata da Brunetta, pur avendo alla base un progetto lodevole, mancherebbe totalmente di trasparenza. Ma sulle critiche riguardo le inadempienze procedurali, la scarsa attenzione alla garanzia della sicurezza del quartiere e dei cittadini, e sulla trasparenza riguardo i fondi, non è stata ancora fatta del tutto chiarezza. A rispondere nel merito ai parlamentari di FI è stato infatti incaricato dal governo, in modo singolare, il sottosegretario agli Esteri. Forse per via dei nomi di Paesi lontani delle vie in cui si trovano le ville in questione.

E scoppia la rivolta:

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I cittadini dell’Eur sono sul piede di guerra. Non vogliono che le due ville di via Kenya diventino una “succursale di Rebibbia” ospitando le sei detenute, presumibilmente tutte rom, che proprio qui dovranno essere accolte con i propri figli nell’ambito del progetto “Casa di Leda”.

L’interno di una delle due ville
Prima di tutto per motivi di sicurezza che, secondo i residenti, non sarebbe possibile garantire sul posto. “Continuano ad entrare e uscire da una delle due ville dei detenuti che vanno a mettere a posto e a pulire: intorno ci sono case di pregio di famiglie che assolutamente non erano state preparate a vivere una situazione di questo tipo e sono in molti casi spaventate”, aveva dichiarato al quotidiano romano il Tempo, Paolo Lampariello, presidente di uno dei comitati di quartiere.

Antonello Properzi, residente proprio accanto ad una delle due ville, racconta, infatti, a ilGiornale.it, come è cambiata la sua vita e quella della sua famiglia da quando il Comune ha dato il via al progetto: “all’improvviso dietro la piccola siepe che separa le nostre abitazioni sono comparsi i detenuti provenienti dal carcere di Rebibbia, accompagnati dalla polizia penitenziaria e hanno tolto completamente la privacy e la tranquillità a mio figlio di undici anni, che per dieci giorni è stato costretto a vedere manette, pistole, divise, carcerati che lavorano, o che accendono il barbecue e si preparano le salsicce”. Properzi si riferisce ai detenuti in regime di art. 21, che lo scorso 13 gennaio, come stabilito dalla determinazione dirigenziale del comune di Roma, si sono recati sul posto accompagnati dalla penitenziaria per pulire gli esterni dei due immobili. “Non siamo stati avvertiti da nessuno di quanto stava per accadere”, lamenta Properzi, “tutto è stato fatto all’insaputa di cittadini e residenti”. Le associazioni e i comitati di quartiere si sono inoltre lamentati del fatto che non sia stata presa in considerazione alcuna alternativa per la riqualificazione delle due ville, che ad esempio, secondo i residenti, sarebbero state perfette per ospitare i genitori dei bambini ricoverati in lungodegenza nel reparto oncologico del vicino ospedale Sant’Eugenio. Ma nessun’altra ipotesi, tantomeno questa, è stata valutata dall’amministrazione.

In ogni caso, i bambini non c’entrano nulla. Il punto sollevato è, al contrario, quello della scarsa trasparenza dell’operazione. È questo che viene contestato dai residenti, dalle associazioni e dalla politica. “Non possiamo essere soddisfatti di chi ha mortificato un progetto bellissimo, per incapacità politica, mala gestione, mancanza assoluta di trasparenza, totale inadempienza del dovere di informare residenti e cittadini”, ha affermato in aula Brunetta, intervenendo dopo la replica del sottosegretario agli Esteri del governo, sull’interpellanza urgente presentata sul tema da Forza Italia. Tutte cose, che, sempre secondo Brunetta, “sono anche alla base di mafia capitale”, dove “c’erano iniziative sociali assolutamente condivisibili che sono diventate fatti criminali, proprio perché non si sono rispettate le regole”. Bloccare il progetto e ripartire da zero, facendo chiarezza su tutti i passaggi, indire una gara pubblica per l’utilizzo delle due ville, è quindi la proposta di Forza Italia, per evitare di ritrovarsi, afferma Brunetta, fra qualche anno, dinanzi ad un nuovo processo per “mafia capitale bis”. Ben vengano le iniziative come questa, dunque, per il capogruppo di FI alla Camera, “ma contraddistinte dal rispetto di tutte le parti in causa”, e “delle garanzie necessarie sia al reinserimento della categoria dei detenuti citati, sia soprattutto alla serenità e alla sicurezza dei cittadini”.

A replicare, dalle colonne del Corriere della Sera, è Francesca Danese, l’ex assessore alle Politiche Sociali di Roma Capitale, che rivendica la paternità del progetto, sottolineando come “tutto sia stato fatto secondo le regole” e come, riguardo una delle irregolarità nel progetto, ovvero quella relativa alla destinazione d’uso ufficio di uno dei due immobili, non compatibile quindi con l’accoglienza delle detenute, il cambio di destinazione sia stato “regolarmente richiesto” dal Comune. Nessun problema, per la Danese, neanche sul piano della sicurezza o della svalutazione degli immobili.

“La casa famiglia non è ancora aperta”, scrive la Danese sul Corriere, “ospiterà sei mamme con i loro bambini: Roma diventa così la prima città in Italia che realizza un progetto che rispetta i diritti dei bambini e offre alle mamme una concreta possibilità di recupero per un futuro reinserimento nella società, tutto questo in ottemperanza ad una legge nazionale”. E non c’è nessuna cooperativa di mezzo, sottolinea l’ex assessore. Altro che “mafia capitale”, insomma, progetti come questo per la Danese sono “gli anticorpi di cui Roma ha bisogno”.

Ma le dichiarazioni dell’ex assessore Danese, per l’ufficio stampa dell’On. Brunetta, sentito da ilGiornale.it, “non chiariscono nulla”. “È comprensibile che lei difenda il suo operato”, ci dicono, “ma non dovrebbe avere più voce in capitolo visto che non è più assessore”. A schierarsi con i residenti di via Kenya c’è anche Alfredo Iorio, candidato sindaco di Roma per Movimento Sociale e Forza Nuova. “Il problema non è la destinazione d’uso o una delibera fatta male, ma il rischio che dietro a questa storia ci siano le solite cooperative che sfruttano il disagio sociale per fare profitto: e questa è una logica che secondo noi va sradicata da Roma”, ha detto Iorio a ilGiornale.it.

I residenti e i comitati di quartiere, per ora, quindi, non sembrano essere intenzionati a scendere dalle barricate. Anzi, guidati dai comitati e dalle associazioni, hanno già presentato un esposto in Prefettura e a breve presenteranno anche un ricorso al Tar, per cercare di bloccare il progetto.