Uno studente tibetano di 16 anni, che si era dato fuoco il 29 febbraio nel nord dell’India per protesta contro l’annientamento della cultura tibetana per mezzo della massiccia immigrazione di Cinesi Han dalla Cina, e’ morto ieri in un ospedale di New Delhi.
Lo riferisce un comunicato del Tibetan Youth Congress (Tyc), un gruppo di giovani tibetani in esilio.
Il ragazzo, che si chiamava Dorje Tsering, si era cosparso di benzina e si era dato fuoco nei pressi di Dehradun, nello stato himalayano dell’Uttarakhand.
L’immolazione e’ avvenuta davanti alla casa di suo nonno. Prima del gesto aveva detto ai genitori che “sperava che il suo gesto avrebbe contribuito alla causa del Tibet”. E’ stato soccorso subito e portato all’ospedale ma a causa delle gravi ustioni su oltre il 90% del corpo non e’ riuscito a sopravvivere.
In un video che circola sui social media, il ragazzo, dal letto di ospedale diceva: “Questo atto credo che scuoterà le coscenze. La gente penserà che un ragazzo si è bruciato per il suo paese e creerà consapevolezza. I Paesi del mondo sapranno del Tibet e la lotta sarà rafforzata. Tibet libero e prego che Sua Santità viva per molte migliaia di anni.”
Come in Europa, anche in Tibet è in atto un genocidio culturale portato avanti attraverso l’immigrazione di cinesi nella terra dei Tibetani. Nella capitale, Lhasa, i cinesi sono ormai maggioranza.
Questo è un altro esempio di come l’immigrazione sia un’arma di distruzione di massa.
FLASHBACK: GENOCIDIO: PECHINO INVIA IN TIBET ALTRI 280MILA IMMIGRATI CINESI
Il governo di Pechino ha autorizzato l’immigrazione di 280mila cinesi di etnia Han (i cinesi etnici) a Lhasa, la capitale del Tibet. In quello che è solo l’ultimo atto di un genocidio dell’identità tibetana attraverso l’immigrazione cinese. E’, del resto, quello che i nostri governanti stanno facendo in Europa.
Per i tibetani è una decisione presa per “calpestare ancora di più” l’identità locale. Questo nuovo flusso migratorio aumenterà i residenti del 30% e porterà entro il 2020 la popolazione urbana a superare il milione di unità. I nativi, al contrario, sono stanziali nelle campagne o nei piccoli centri urbani che non superano i 5mila abitanti. Un’invasione che mima in tutto e per tutto quella in atto da noi.
Pechino ha approvato il piano di urbanizzazione proposto dal governo locale del Tibet. Lobsang Jamcan, capo dell’esecutivo regionale, lo ha motivato con “la necessità di uniformare il Tibet al resto del Paese. Dobbiamo migliorare i servizi pubblici nelle città per attirare più talenti da fuori e rafforzare la nostra economia”.
Il progetto rientra in un piano generale preparato da Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Per “integrare” (stessa parola utilizzata da noi) il Tibet alla Cina, l’allora leader comunista diede un forte impulso alle politiche migratorie di cittadini di etnia Han già lanciate da Mao. Con l’aumento delle capacità tecniche e delle infrastrutture, fra gli anni Ottanta e il 2013 la popolazione urbana non tibetana è decuplicata.
Con l’apertura della ferrovia che unisce Gormo (in Cina) a Lhasa (in Tibet), avvenuta nel 2006, ogni giorno circa 3mila cinesi etnici sbarcano nella regione: di questi, dicono le statistiche ufficiali, “la metà si ferma per un periodo indefinito di tempo”. Nel settembre 2011, inoltre, Pechino ha annunciato uno stanziamento di 300 miliardi di yuan (circa 38 miliardi di euro) per sostenere 226 “progetti-chiave” per lo sviluppo del Tibet. Questi vanno dal settore ferroviario alle dighe, passando per lo sfruttamento del sottosuolo e la promozione del turismo. Tutti sono stati affidati a ditte di proprietà han. Tutti servono a mutare – per sempre – il profilo etnico del Tibet. Fino a che, la ‘questione tibetana’ sarà risolta ‘demograficamente’: non esisterà più il Tibet, perché sarà abitato da una maggioranza di cinesi.
Il governo tibetano in esilio, che è stanziato a Dharamsala, in India, accusa le nuove politiche migratorie: “Sotto il mantello dello sviluppo economico e sociale, Pechino incoraggia la sua popolazione a migrare in Tibet con il chiaro scopo di emarginare i tibetani dalla sfera economica, educazionale, politica e sociale”. Perché l’immigrazione è un genocidio con altri mezzi.
Secondo gli esuli tibetani, al momento nella regione vivono circa 7,5 milioni di cinesi contro 6 milioni di tibetani. Inoltre, dal 1992 Pechino ha stanziato nell’area 40mila soldati fissi: la cifra ha toccato le 100mila unità nel 2010, durante la crisi delle auto-immolazioni dei residenti che si sono dati fuoco in centinaia per protestare contro la persecuzione comunista.
E’ con l’immigrazione che i regimi piegano i popoli. Solo che il regime cinese la utilizza pro domo suo, quelli autolesionisti europei, pro domo loro.