Renzi delocalizza lavori italiani in Romania

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Delocalizzazioni di Stato: Saipem chiude in Italia e va in Romania

Cortemaggiore – Le rassicurazioni di prammatica, le certezze sul mantenimento del sito produttivo e, allo stesso tempo la sua progressiva – lenta e costante – dismissione fatta di piccoli movimenti, quasi impercettibili ma sufficienti per far capire quale sarebbe stato l’andazzo. Se si parla di delocalizzazioni, può sembrare che sia la storia di una qualsiasi multinazionale sbarcata in Italia qualche anno fa e decide, nonostante le promesse su investimenti e posti di lavoro fatte all’inizio, di chiudere e riaprire all’estero. In effetti è, in parte così. Peccato che la multinazionale non sia straniera e, soprattutto, sia di proprietà pubblica. E che proprietà, dato che si parla di Saipem, realtà storica del panorama industriale italiano, che ha deciso di chiudere il sito di Cortemaggiore (provincia di Piacenza), proprio laddove fu trovato il primo petrolio del nostro paese, per trasferirsi armi e bagagli in Romania.

Fino al dicembre dell’anno scorso Saipem aveva traccheggiato sulla presenza nel comune piacentino, sempre meno legato alla sua storia dopo la chiusura anche della scuola di formazione di Eni che della stessa Saipem è ancora azionista di maggioranza, dopo la cessione del 14% della propria quota a Cassa Depositi e Prestiti, con oltre il 30% delle azioni. Da allora, spiegano dalla società, con il crollo nei valori del petrolio e il sostanziale calo nelle nuove trivellazioni si è reso necessario aggiornare il piano di risparmi da 1.5 miliardi varato lo scorso. Da qui la scelta di dismettere il sito di Cortemaggiore, dal quale nel frattempo è stato anche rimosso il logo presente sui capannoni mentre buona parte dei macchinari ha già da tempo preso la via dell’estero, verso paesi dell’est. Degli oltre 100 lavoratori che fino a pochi anni fa ruotavano nella città della bassa piacentina ne rimarranno solo sei, abbastanza per perdere tutte le competenze necessarie al mantenimento di una qualsiasi produzione, oltre che mettere una seria ipoteca sull’intercettazione di nuove.

“Il rammarico è relativo al fatto che privilegiando siti esteri vedi Rijeka e Ploiesti, per posizione geografiche più baricentriche alle attività Saipem, il ritorno di commesse favorevoli a Cortemaggiore non garantisco la ripresa dell’attività vista la smobilitazione e che quindi si auspica un impegno di tutti gli attori sociali del territorio per la ripresa”, spiegano i sindacati, intervenuti ieri ad un incontro con Confindustria e rappresentanti dell’azienda. Più duro Matteo Rancan, consigliere regionale della Lega Nord: “Sempre peggio. “La parola del PD vale quanto un PETO!” VERGOGNA!”, scrive sul suo profilo facebook, citando le parole utilizzate ieri in aula nei confronti dei dem dal capogruppo del Carroccio, Gian Marco Centinaio. L’ira della Lega deriva dall’atteggiamento del deputato Paola De Micheli, anche lei piacentina e sottosegretario all’Economia, che fino a pochi mesi fa si diceva sicura delle scelte di Saipem: “Nessuna chiusura in vista per la Saipem di Cortemaggiore, basta con allarmi infondati”, aveva perentoriamente affermato non più tardi della scorsa estate.

Una discreta capacità divinatoria, quella della De Micheli. E che, al netto di battute e facile ironia, traccia un’ombra sulle scelte dell’esecutivo: se anche le aziende pubbliche delocalizzano, che razza di politica industriale è mai questa?

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Saipem, società di ENI e quindi controllata dallo Stato – ergo di proprietà degli italiani – sembra aver trovato il modo di seguire i precisi dettami della globalizzazione per risparmiare e del masochismo etnico per fare contenti gli eurofanatici: “assumere all’estero, far lavorare gli stranieri in Italia nei propri stabilimenti”. E’ la scioccante – ma non imprevedibile – denuncia dei lavoratori dello stabilimento di Cortemaggiore (Piacenza), da cui nel ‘49 era partita l’avventura di Enrico Mattei.

“Il lavoro c’è ma non per gli italiani, anche se gli costiamo meno. Perché?” hanno detto i lavoratori in consiglio comunale, al sindaco Gabriele Girometta.

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“Non è un sistema legale, fate arrivare qualche controllo. Da due anni a questa parte – raccontano – sono stati avviati tagli sui trasfertisti italiani. Però assumono gli stranieri, rumeni e croati. Li fanno arrivare, con ‘visti turistici’. Gli danno vitto e alloggio in case e alberghi e a noi propongono contratti sempre più brevi, fino al mancato rinnovo”.

Il sindaco, sollecitato dal consigliere Ferri, ha assicurato che “chiederemo alla Provincia di aprire un tavolo di confronto, anche con i sindacati, ma non vogliamo arrivare allo scontro, che non ha mai aiutato in questi casi”. Ridicolo, ‘un tavolo’ per fare cosa, abbuffarvi in compagnia?

La rabbia dei lavoratori, 14 interinali (più altri 14 che entreranno in servizio a breve), è esplosa dopo le voci circolate nei mesi scorsi, che parlavano di chiusura del centro di ricerca per tecnologie di saldatura nel Piacentino e conseguente spostamento in Croazia, dove la controllata del “cane a sei zampe” si è insediata dal 2002 e firmato recentemente un accordo con l’Università di Rijeka di collaborazione e sviluppo di attività di ricerca scientifica nel campo delle tecnologie energetiche.

I sindacati, che ormai rappresentano solo stessi, non vorrebbero che gli operai parlassero, ma ecco la loro incredibile denuncia: “Vogliono sostituire gli italiani con gli stranieri, anche se gli costano di più. Forse perché poi sarà più facile chiudere senza nessuno che si lamenti” spiegano.

“Li assumono tramite la Gps (Global petroproject services, ndr) che è sempre del Gruppo Eni ma ha sede in Svizzera. Oppure tramite la croata Saipem Mediterranean services e un’altra ditta locale, con sede legale a Fiorenzuola ma con cantieri attivi nell’est Europa. A loro fanno contratti di sei mesi e poi un anno, a noi da tre mesi, via via scalando. Persino di due settimane prima di lasciarti a casa”.

Basta scorgere la bacheca che contiene i cartellini che vengono timbrati a inizio turno, e i nomi di italiani sono sempre meno. “Ci avevano promesso il rinnovo fino a ottobre e invece, dopo il loro arrivo, hanno lasciato a casa altri due ragazzi italiani – dicono – e quando abbiamo chiesto spiegazioni ci hanno risposto: non hai una moglie rumena o croata? Sarebbe più facile tenerti”.

Ripetete la vulgata dei media di distrazione di massa insieme a noi: ‘gli immigrati sono in Italia per fare i lavori che gli italiani non vogliono fare‘. Tipo autisti di bus e operai alla Saipem.

Mattei si sta rivoltando nella tomba.