Le 100 moschee abusive di Roma

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In Italia esiste, ufficialmente, solo la grande Moschea di Roma, riconosciuta come luogo di culto al tempo di Andreotti, in uno scempio culturale che ancora grida vendetta.
Le altre sono ‘associazioni culturali’. Pullulano, ad esempio a Roma, soprattutto in vecchi scantinati, garage o magazzini.

A piazza Vittorio, il cuore del quartiere multietnico Esquilino, il bengalese Dipo ha trasformato il suo negozio di casalinghi nella storica associazione piazza Vittorio che è sorta accanto a una Chiesa e di fronte a una stazione di polizia. Si tratta di un locale di 297 mq che il venerdì, giorno di preghiera, ospita varie centinaia di persone. “Gli iscritti all’associazione sono 275 ma c’è un continuo via vai e io registro tutti e ho un ottimo rapporto sia con la polizia con cui sono in stretto contatto, sia con il parroco qui accanto. Pensa che a Natale abbiamo fatto l’albero…” spiega soddisfatto Dipo che racconta anche di tenere dei corsi di italiano per stranieri per favorire l’integrazione. La maggior parte dei centri visitati, però, sono considerate anche dai fedeli soltanto delle moschee anche se, come spiega Dipo:“Moschea è dove si prega. Per me può essere questa associazione come casa mia, casa tua o anche la strada, non fa differenza. Se siamo in tre, chi conosce meglio il Corano fa l’imam e si prega”.

L’ultimo centro culturale aperto non più di due settimane fa alla presenza delle forze dell’ordine e delle istituzioni municipali (con l’assessore donna ospite con tanto di velo), in zona Monteverde, il personaggio che svolge il ruolo di imam è stato presentato come “maestro”. Anche in questo caso si è di fronte a un bilocale di 100 mq, con poche finestre e i muri ammuffiti, e che, in teoria, dovrebbe ospitare sui 70/80 fedeli. Anche qui, in bella vista, appena si entra, c’è tanto di cartello: “si entra solo con la tessera” e si spera che sia effettivamente così. Il timore, anche delle forze dell’ordine, è che in questi locali si possano infiltrare dei fondamentalisti tanto è vero che, come hanno confermato i responsabili, i due centri culturali che sono sorti vicino a via Candia, in zona San Pietro, ricevono spesso la visita della Digos. Il primo, nato tre anni e mezzo fa, è grande circa 200 mq.

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Il secondo centro di cultura islamico della zona che aprirà a breve per volontà della comunità bengalese del quartiere che da due anni cercava un locale e ora ha trovato un ex negozio di tappetti. Il responsabile Hussein spera di aprire entro 20 giorni ma, a un’occhiata attenta, il locale non sembra esattamente il più adatto a ospitare un luogo di culto. Problemi questi che si riscontrano in periferia, in quartieri come Centocelle e Torpignattara. Soprattutto in quest’ultimo la convivenza è molto difficile perché, come spiega Fabio Piattoni, esponente della lista Marchini, nel quartiere c’è un alto tasso di illegalità e questo non favorisce l’integrazione. “Basterebbe – dice Piattoni – usare le leggi già esistenti per impedire che queste persone siano stipate in posti non idonei dal punto di vista urbanistico. È ovvio che monti la rabbia tra i residenti con questo buonismo amministrativo e doppiopesismo tra musulmani che fanno di un garage una moschea e italiani che vengono multati per sciocchezze”.

Centocelle. Qui, negli ultimi mesi, la notizia dell’acquisto, da parte di un Fondo del Qatar, di una palazzina di tre piani dove dovrebbero traslocare i musulmani della moschea Al Huda di via dei Frassini. Fabrizio Santori, consigliere regionale di Forza Italia, ha depositato una proposta di legge per limitare la proliferazione di questi luoghi abusivi e per consentirne la nascita solo nel rispetto dell’urbanistica e del decoro della zona in cui sorgono.

Ma il problema è la presenza di islamici. Se importi islamici, è inevitabile che nascano moschee. La soluzione è semplice: stop immigrazione ed espulsioni di massa. Vadano a pregare Allah a casa loro.