La mistica del vuoto – Mario Michele Merlino

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Merlino 1

I vasi cinesi incantano per la fine porcellana, impreziositi da dipinti con paesaggi vicende amorose scene di vita quotidiana e guerresca fiori e piante d’ogni specie forma e colori. Ne possiedo uno autentico, regalato a mio padre non ricordo più in quale circostanza, con due riproduzioni di luoghi invernali sulle rive acqua grigia piatta alberi spogli montagne circonfuse da nubi stormi di uccelli in cerca di terre assolate barche e casupole dai tetti di paglia. Mestizia silenzio vuoto. Già, il vuoto. Mi hanno detto… Forse fu l’amico Lionello Lanciotti, titolare della cattedra di lingua e letteratura cinese all’università Orientale di Napoli, poi a lungo direttore dell’ISMEO, che ci istruiva sui concetti raffinati del taoismo (possiedo l’edizione del Tao-tè- ching di Lao-Tze a cura di Julius Evola, casa editrice Ceschina, 1959) e del confucianesimo (esemplare, fra tanti, il testo di Han Yù intitolato Lettera al coccodrillo – ne trascriverò vicenda e contenuto, traendolo da Giornale di Mircea Eliade, editore Boringhieri, 1976, nel prossimo paragrafo), quando ci si frequentava da Walter il tipografo, nel salotto del terzo piano, o al ristorante cinese di via Cavour da lui considerato il migliore di Roma. Il vaso e il vuoto, dicevo.

  (Trasferitosi nel 1957 negli Stati Uniti, docente di storia delle religioni all’università di Chicago, annota sul diario in data 17 dicembre del ’61 come un suo studente avesse elaborato una tesina proprio sul testo del ‘seguace convinto di Confucio’ Han Yù, redatto nell’819 quando era stato nominato dall’imperatore, sorta di esilio, magistrato nella lontana provincia di Chaochou. Qui venne informato come la popolazione vivesse sotto la minaccia dei coccodrilli che infestavano il fiume, divorando il bestiame e gli stessi contadini. Allora egli si recò sulla riva, accompagnato da funzionari e sudditi, lesse ad alta voce la Lettera al coccodrillo e la bruciò. Si narra che la notte stessa la regione fosse devastata da una tempesta di grandi proporzioni e che, al mattino successivo, non v’era più traccia dei coccodrilli. Nel testo pervenutoci Han Yù ammonisce come vi fosse un unico imperatore, Figlio del Cielo – e Mircea Eliade annota ‘in altri termini… l’era dell’anarchia e della confusione che aveva permesso ai coccodrilli di moltiplicarsi , era finita: un nuovo “Cosmo” aveva sostituito il Caos precedente’ -. E, inevitabile, il confronto va con la vergogna e miseria dell’oggi. Abbiamo avuto chi volle imporre giustizia sociale e dignità nazionale, ma ce ne siamo liberati scatenando l’orrore di Piazzale Loreto e dintorni. Quanti coccodrilli insidiosi e voraci, magari in giacca e cravatta, si sono fatti i padroni della vita politica del lavoro della convivenza del senso del nostro futuro… I greci affermavano che ‘l’ordine insegue il disordine’, se questo presente è la conseguenza dell’ordine (!) dei liberatori, beh, allora ben vengano ‘le stelle danzanti’ generate in noi dal Kaos interiore!).

  Dicevo dei vasi cinesi. Essi non svolgono alcuna funzione, a differenza dell’uso, ad esempio, da contenitori floreali in Occidente, se non quella ornamentale, di abbellimento – questo, però, è soltanto il loro aspetto esteriore. Essi qualcosa contengono e di questo qualcosa si rendono testimoni: il vuoto. Merlino 2Il Niente diremmo noi e, d’istinto, ci ritraiamo come sull’orlo dell’abisso, l’horror vacui, con cui Aristotele dava addosso alla filosofia di Democrito e l’arte rigettare lo spazio vuoto; lo espelliamo dal nostro immaginario, dalla nostra riflessione fin dal tempo di quel ‘venerando e terribile’ Parmenide, filosofo di Elea. La pretesa dell’Essere di potersi, esso solo, incamminare sulla via del Giorno. Da qui conseguente tutto lo straordinario scenario, variegato e affascinante, che è stata la storia della Metafisica. (Nietzsche, solitario viandante per i sentieri dell’Alta Engadina, ebbe l’intuizione – e la mise in bocca al suo Zarathustra – che l’uomo avrebbe dovuto osare come l’aquila dai possenti rostri guardare, impavido, dentro ed oltre… poi vennero le storpiature di Freud che s’affrettò a negare d’averlo letto per potersi pavoneggiare simile a cornacchia con le piume del pavone, trasformando la tigre che è in noi in oscene perversioni).

  Non casualmente, banale e delicato nella pur grandezza pittorica, Raffaello volle collocare Platone con il dito verso il cielo (e a me piace ironizzare su un indecente e inammissibile suo ‘vaffanculo!’ all’Iperuranio) e Aristotele a mostrare il palmo della mano e le dita aperte (forma greca moderna, mi sembra dirsi malaka!, equivalente il medio levato) al centro della sua Scuola di Atene, divenuto motivo oggi di ammirazione ai Musei vaticani. Di questo horror vacui, reso proclama esistenziale per una generazione folle e disperata, tra la fine degli anni Ottanta e primi Novanta, la musica rock espresse questa nientità tramite i Nirvana (nome quanto mai emblematico) con i suoi ritmi i più dissonanti e depressivi – Smells Like Teen Spirit -, crisi esistenziale priva di risposte e quale unica forma di catarsi la morte (Kurt Cobain leader della band si tirò un colpo di fucile a pompa a ventisette anni)…

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Dell’horror vacui ebbi a scrivere, credo anche qui su Ereticamente. Amo pensare come i Titani precipitarono al suolo cercando di arrampicarsi lungo le pendici del monte Olimpo per conquistare la dimora degli dei non perché costoro, irati e gelosi, scagliarono loro contro divine saette. Essi furono abbattuti dallo stupore che li colse, nel tremore e sconcerto della visione, quando s’avvidero che il cielo era vuoto…

Contenere e testimoniare il vuoto. Nel ventre lo spirito, il soffio vitale, l’Hara in giapponese, per cui tagliare (kiri) è renderlo all’aria là dove soffia dove e come vuole. Liberare dalla prigione del corpo non quell’idea di anima, che si identificava in Grecia con la razionalità (si pensi alla morte di Socrate) prima che il pensiero di origine giudaico-cristiano la coartasse al suo dominio. Eterna eppure costretta a condividere con il finito di un corpo qualsiasi il premio e il castigo, bontà e colpa, ovunque il peccato e la paura della perdizione… Ad altra libertà, annientare se stesso, il vuoto si fa partecipe quando lo sottraiamo dalle forme finite, e carne ed ossa e sangue ma anche maioliche dai fini colori e figure dipinte. Non in conflitto ma in duplice armonia. Differenza non da poco. Questo profondo amore verso la natura, i petali dei fiori le foglie gialle in autunno gli alberi con i rami contorti e spogli, nasce dalla consapevolezza che gli uomini e le cose partecipano tutti della precarietà del divenire della vanità.

  Siedo al tavolino di un bar alquanto dimesso, area popolare di Roma Sud, a prendere il cappuccino, buono, con Giovanni. Se ne esce con qualcosa intorno alla ricerca di se stessi. ‘Se stessi, cosa?’, l’interrompo. C’è di fatto un Sé a cui fare riferimento, un Io credibile forte costante, linfa vitale e immutabile di una pianta che varia secondo il ritmo delle stagioni? Così s’è pensato scritto detto prima che, con la modernità devastante, se ne frantumasse l’intierezza. Nelle trincee di Verdun o del Carso si raccolgono i corpi dei caduti, tedeschi francesi inglesi italiani austro-ungarici, crani scoperchiati membra disperse viscere ancora fumanti schizzi di materia cerebrale di sangue piscio merda irriconoscibili scomposti ignoti e, su ognuno di quei frammenti, il fetore aspro della carne marcescente. Se non sei più nulla di umano da morto, chi ti assicura che lo fossi in vita? Gas mefitici, yprite, spirito… Allora, forse, diviene povero illuso quel Marchese del Grillo, interpretato magistralmente da Alberto Sordi: ‘Io so’ io e voi non siete un cazzo..’. E, fra i miei eroi, il guascone dal gran cuore e il naso possente, quel signore di Bergerac in eterna sfida verso se stesso e l’amore: ‘Chè io non uscirei, vedi, per negligenza,/ con la minima macchia sul cor, con la coscienza/ ancora sonnacchiosa, con un onor gualcito,/ e con un qualche scrupolo non troppo ben pulito!’…

 M’è tornata a mente una credenza legata ai popoli Thongas, sparsi tra la regione dello Zambia lo stato dello Zimbabwe e i territori del Sud-Africa, forse riportata da James Frazer, l’autore de Il ramo d’oro, o da Mircea Eliade in qualche sua pubblicazione (sono troppo pigro per ricercare la fonte esatta). Di fronte alla miseria e all’abbandono di popolazioni dedite all’agricoltura precaria della sussistenza, il capo del villaggio offre agli dei il proprio sputo. Una sfida al cielo o suscitare la pietà? E’ l’atto estremo, amaro disperato piegato, di chi nulla più possiede e forse nulla più è in grado di sperare oppure è l’orgoglio smisurato, ultima frontiera, tra le rovine della quotidiana esistenza abbrutita e piagata a cui rimane, però, essere in piedi e gridare contro il cielo la propria pur vana rivolta. (‘Se gli dei sono contro di noi, peggio per loro’, è la sarcastica, al contempo, spavalda risposta). Mi piace pensare sia questa seconda l’interpretazione giusta ove il sacro compenetra il destino dell’uomo e l’uomo accetta su di sé il rischio di ulteriore vendetta delle divinità perché egli ormai è un dio solo e irato…

I vasi cinesi, la minuziosa cura del seppuku, le belle forme che s’accompagnano e tutto per dare al vuoto il giusto suo riconoscimento – non ‘l’esteta armato’ dell’Europa lacerata dal ferro e dal fuoco (a Fiume sotto embargo il Comandante si faceva arrivare da Trieste, via contrabbando, vasetti di pomata per le mani) – o forse sì? Intendere così quel ‘A cercar la bella morte’ quando oramai nulle sono le certezze sulla vittoria e versare il proprio sangue è pura e misconosciuta testimonianza – ‘vitam pro vita exponimus’ -. Quando si sa essere gli altri a riempire di parole e urla e stridio scomposto il mondo, allora risuona un’altra voce si leva altro canto: Rivolta! Ed anche questo è Vuoto contenuto in fine porcellana di carne lacerata.