Cuba: 60 detenuti politici dimenticati dai media

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Cuba è di moda. Da quando Barack Hussein Obama e Raúl Castro han deciso lo scorso dicembre, con la mediazione di papa Francesco, di promuovere un’operazione di disgelo “pilotato” tra i due Paesi, da sempre contrapposti, all’isola – governata dalla stessa famiglia da 56 anni – son cominciate a giungere ininterrottamente visite ad alto livello. Il turismo è aumentato del 15% dall’inizio dell’anno.

Il regime comunista ha iniziato i preparativi in vista del viaggio del Pontefice di settembre, avviato i negoziati con gli Stati Uniti per l’apertura delle ambasciate, mentre il dialogo con l’Unione Europea ha fatto significativi passi avanti. Intanto, però, poco o niente si sente dire su una sessantina di detenuti politici dimenticati nelle carceri, alcuni anche da oltre vent’anni, come denunciato da un’approfondita inchiesta recentemente apparsa sul quotidiano spagnolo Abc.

Una cappa di silenzio

Due settimane dopo che il card. Jaime Ortega, Arcivescovo dell’Avana, ha affermato, nel corso di un’intervista, che «a Cuba non ci sono prigionieri politici», la Ccdhrn-Commissione cubana dei diritti umani e per la riconciliazione nazionale ne ha diffuso un primo elenco parziale, contenente 71 nominativi di persone «condannate perché perseguite o per motivi politici o con processi condizionati politicamente». La metà di questi casi risale soltanto ad un anno fa, quando l’allegra macchina per la pacificazione era già stata avviata.

Nel dossier figurano tanto i dissidenti pacifici dell’Unpacu-Unione Patriottica di Cuba (nella foto) quanto ex-militari, spie o i 6 anti-castristi, che verso la metà degli Anni Novanta cercarono d’infiltrarsi nell’isola con le armi. Di loro «quasi nessuno si interessa più». Il portavoce della Ccdhrn, l’ex-prigioniero Elizardo Sánchez, ammette come in alcuni casi siano stati commessi atti violenti, tuttavia per ragioni ideologiche è stato loro negato un giusto processo ed hanno patito condanne decisamente «sproporzionate». Queste situazioni però si contano sulla punta delle dita. Sarebbero 21 in tutto. E tutti gli altri?

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Secondo quanto riportato da Abc, ad oggi anche Amnesty International non riconosce la presenza di alcun prigioniero per motivi di coscienza a Cuba. E lo stesso Card. Ortega ha aggiunto che «nessuna» delle «centinaia di lettere» con richieste di indulto inviate al Papa in vista del suo imminente viaggio «riguarda crimini politici, in molti casi si tratta di reati economici». Sánchez non è d’accordo. Undici ex-detenuti politici della cosiddetta Primavera Negra del 2003, oggi sono sottoposti a «liberta vigilata»; significa che in qualsiasi momento possono essere riportati in galera e non possono per alcun motivo lasciare Cuba. Danilo Maldonado sarebbe oggi «la figura più rappresentativa dell’intolleranza»del regime comunista cubano: ha scontato quasi un anno e mezzo in cella, per aver cercato d’inscenare una protesta pacifica all’Avana.

I cosiddetti “detenuti comuni”

La Commissione cubana fa appello agli «sforzi» della comunità internazionale per ottenere la liberazione – per motivi «umanitari» – di 21 cubani incarcerati per «crimini contro lo Stato»: han sopportato dai 12 ai 23 anni di prigione in condizioni definite «estreme». Tra loro, figurano due ex-ufficiali dei servizi di sicurezza, condannati a 30 anni, poiché «manifestarono dissenso ed entrarono in rotta col governo». Uno è l’ex-capitano del controspionaggio Ernesto Borges, che ricevette la visita del Card. Ortega durante uno sciopero della fame, da lui intrapreso alla vigilia della visita di Benedetto XVI a Cuba, nel marzo 2012. L’altro è Claro Fernando Alonso Hernández, ufficiale dei servizi segreti del Ministero dell’Interno, detenuto dal 20 febbraio 1996 in quanto accusato d’aver rivelato «segreti relativi alla sicurezza dello Stato». Dal 2006 gli spetta la libertà vigilata, secondo le leggi militari.

Ma il dossier contiene un’altra, importante informazione: la Commissione cubana denuncia come, per giudicare gli oppositori, il regime castrista li faccia spesso sembrare detenuti per «delitti comuni previsti dal Codice Penale». Sánchez teme che vi siano tra i 60 ed i 70 mila detenuti comuni, a Cuba. Troppi, per un Paese di soli 11,2 milioni di abitanti. Ed è questo a preoccupare. Non solo Sánchez…

In collaborazione con: nocristianofobia.org