Profugo disperato: “Non c’è wi-fi, sono costretto ad usare Skype”

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INCHIESTA STRAPPALACRIME DEL GIORNALE DI JOHN E LAPO ELKANN

Il quotidiano della Fiat, la Stampa, ha un articolo strappalacrime sui ‘poveri profughi segregati in un convento’. Siamo al limite del demenziale.

La vicenda è questa: http://voxnews.info/2015/01/19/profughi-aggrediscono-operatori-non-ce-sky-come-possiamo-vivere-cosi/
Sono i famosi ‘profughi’ che causarono disordini per la mancanza di Sky e l’impossibilità di vedere la Coppa d’Africa.

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La Stampa, da tipico giornale d’inchiesta, ci racconta che Fatti Yaya è uno che ha bevuto la sua pipì, quando si è trattato di scegliere se vivere o morire. «Eravamo nel deserto del Niger su un pickup scoperto. C’erano cinquanta gradi e stavamo impazzendo. In cinque sono caduti giù, morti. Mi ero portato solo una bottiglia d’acqua, l’ho finita il primo giorno, ma per fortuna l’avevo tenuta con me…». Questo per dire che non è una persona viziata e neppure schizzinosa.

Ovviamente, il racconto è dello stesso Fatti Yaya. Molto credibile.

Ora, il ‘profugo’ ci racconta che Il cibo è tremendo. Non c’è il wi-fi. Non facciamo niente tutto il giorno. A parte dormire…. Non era questa l’Italia che avevo immaginato. Ecco perché abbiamo fatto la protesta del blocco stradale. Ecco perché abbiamo deciso di fare denuncia.

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I carabinieri sono stati qui già sette volte. La procura ha aperto un’inchiesta. Gli indagati sarebbero sei, fra cui il presidente don Gigetto De Bortoli. L’ipotesi di reato è maltrattamenti. Qui è un ex convento di Carmelitane, nascosto fra gli alberi sulla strada principale. La struttura è di proprietà del Ceis, il centro educativo Italo Svizzero. Per anni ha ospitato una comunità di recupero per tossicodipendenti.

Poi sono stati sloggiati, per fare posto agli africani. Ma non c’è il wi-fi.

Ne rimangono alcuni, dei ragazzi che stanno facendo un percorso di riabilitazione, e pare non si lamentino della sistemazione.

Sedici per stanza. Altri sette ragazzi stanno buttati su dei materassi, in una camera più piccola, ricavata al fondo del corridoio. Scarpe ovunque. Pochi bagni, sporchi. Ma la cosa che fa più male, ad essere sinceri, è trovarli a dormire alle 4 del pomeriggio. Luci spente, persiane abbassate. «Cosa altro possiamo fare?», dice Fatti Yaya. «Le giornate sono lunghissime. Non succede mai niente». Pochi vanno a scuola di italiano. Tutti parlano male del cibo, del fatto che in ospedale non sono ben accetti, di questa promiscuità forzata: «Di notte non riesci neppure a respirare».

Fatti Yaya non è un profugo. Ma ha molta fantasia – ricordate il viaggio nel deserto: “Ho 26 anni, sono di JanjanBureh, Gambia. Sono scappato perché mi ero innamorato della figlia di un militare, che ha giurato di uccidermi. Era il 3 settembre 2013. Sono sbarcato in Sicilia il 6 agosto 2014. Io sono l’unico maschio della famiglia. Devo aiutare mia madre Amie Nata Juwara. Non ha niente da mangiare. Ieri ho spedito a casa 35 euro”.

Don Gigetto De Bortoli: “Questa sistemazione è stata concordata con la prefettura. Dormo vicino ai migranti, mangio quello che mangiano loro. Non ho paura dell’inchiesta, chiarirò tutto”. Lui dorme vicino ai ‘profughi’…

Abbiamo gambiani in ‘fuga’ da presunti genitori di presunte fidanzate, abbiamo preti che dormono vicino ad africani…e africani che si lamentano del cibo e dell’assenza del wi-fi. Non è normale. Non è normale.