Dramma: 10 ‘profughi’ da 2 anni in hotel non possono andare allo stadio

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BOLOGNA — Bologna-Lanciano, si è giocato ieri. Ha vinto il Bologna, per la cronaca.

Ma una decina di sedicenti profughi in possesso di un permesso di soggiorno come ‘rifugiati’, in Italia da un paio di anni, e da noi mantenuti da un paio di anni nell’Albergo Pallone (riferimento casuale alla vicenda) voleva vedere la partita. E non ha potuto vederla. Un dramma.

Fuggono da ‘guerre inesistenti e persecuzioni fantasiose, come puoi negargli il diritto umano allo stadio?

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«Avrebbero voluto tanto vedere il Bologna — racconta tal Roberto Morgantini con tono da libro cuore, vicepresidente dell’associazione a scopo di lucro Piazza Grande — ma dovranno rinunciare a incontrare i loro beniamini. Noi avremmo preso i biglietti e li avremmo accompagnati, ma non c’è stato nulla da fare. La società calcistica si era detta disponibile a farci entrare, previa autorizzazione della Questura. Autorizzazione che, evidentemente, non è arrivata». Non vi sentite affranti per questo racconto?

E la società fa sapere: «Ci abbiamo provato — conferma Carlo Caliceti, responsabile area comunicazione Bfc — saremmo stati felici di accoglierli ma, essendo la prima volta che ricevevamo una richiesta del genere, ci siamo rivolti alla Questura. Ci hanno spiegato che no, il permesso di soggiorno non è tra i documenti con cui si può accedere allo stadio». Le norme comportamentali di accesso agli impianti sportivi, applicabili ai sensi dell’articolo 1 septies D.L. 28/2003, convertito e modificato dalla Legge 88/2003, sanciscono che «per l’accesso all’impianto è richiesto il possesso di un documento di identità valido, da esibire anche a richiesta degli steward, per verificare la corrispondenza tra il titolare del titolo di accesso e il possessore dello stesso».

«Il permesso di soggiorno, effettivamente, non è un documento che riconosce l’identità di una persona, ma ne attesta la presenza regolare sul territorio — spiega Neva Cocchi della demenziale associazione Ya Basta — ma non mi sembra comunque ovvio pensare che un permesso di soggiorno non sia sufficiente per entrare a vedere una partita». D’accordo anche Morgantini, che parla di discriminazione: «Il loro permesso di soggiorno è rilasciato dalla Questura: c’è la loro foto, c’è scritto dove sono ospitati. Ma è la stessa Questura che non riconosce quel permesso per accedere all’impianto sportivo. Qualcosa non torna: se le regole sono sbagliate — o anche solo contradditorie — si può anche cambiarle…».

Il problema non è il permesso o lo stadio, il problema è che questi da due anni vivono in albergo a spese nostre. E non ostante questo, un’associazione di parassiti crea anche una campagna stampa demenziale perché, poverini, non possono andare allo stadio: sempre a spese nostre.




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