L’Italia è (era) un Paese in cui la incidenza della tubercolosi sarebbe bassa. Peccato che, come in tutte le aree metropolitane europee, anche in Italia c’è un’incidenza nettamente più alta nelle grosse città, ed in particolare a Milano e Roma. Chissà come mai: mistero…
Il mistero è risolto quando si scopre l’alta endemia nei Paesi dell’ex blocco sovietico, in alcuni dei quali si registrano incidenze superiori 5 volte quella italiana, e in quelli africani.
A scattare questa fotografia sul “mondo” tubercolosi è l’Amcli (Associazione microbiologi clinici italiani), in vista della giornata mondiale della tubercolosi, in programma il prossimo 24 marzo.
Il presidente dell’associazione, Pierangelo Clerici (direttore di Microbiologia dell’Azienda Ospedaliera di Legnano), ha spiegato che «da anni l’Amcli si batte per l’istituzione dei centri regionali di riferimento per la diagnostica della tubercolosi e delle micobatteriosi».
In molte regioni «tali centri sono ormai una realtà, in altre si registrano dei ritardi non giustificati».
«Esistono forme dovute a bacilli resistenti ai farmaci principali in cui la mortalità può superare anche il 50%», ricorda Enrico Tortoli, coordinatore del gruppo di lavoro sui micobatteri dell’Amcli. E sono tutte forme di importazione: arrivano con i barconi. E con l’andirivieni dei ‘migranti’ tra casa loro e l’Italia.
L’Amcli, quindi, ricorda che il costo sociale della tubercolosi è altissimo in tutti i Paesi. La terapia, gratuita per il paziente, ha un costo che varia da poche centinaia a svariate migliaia di euro per la tubercolosi multiresistente; mentre il trattamento delle forme a resistenza estesa può superare addirittura i 100mila euro.
Ergo: quando arriva un africano con la TBC multiresistente, il conto lo pagate voi. Ed è salato.
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