Su Facebook le drag-queen si, i preti no

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FacebookGuai a voi, se siete sacerdoti e provate a preporre il vostro titolo di «Don» o «Padre» al vostro nome! Ad intimarlo è Facebook, che digerisce tutto, accetta tutto, acconsente tutto, meno i riferimenti al sacro. Al punto da minacciare numerosi reverendi, specie statunitensi, di chiudere il loro profilo, qualora non provvedessero – ed in fretta – a levarsi qualsiasi richiamo al proprio stato religioso.

Lo ha riferito l’agenzia Aleteia. La quale, richiamandosi al sito Internet Rue 89, spiega come ciò faccia parte di una campagna pianificata per eliminare chi utilizzi pseudonimi o account anonimi, incoraggiando piuttosto l’uso del nome civile legale. Ma la scusa non convince, tutt’altro: «E’ la prima volta che mi capita una cosa simile, è molto strano», ha affermato Padre James Chern, che, sia come responsabile delle Vocazioni per la Diocesi di Newark (Usa), sia come cappellano universitario, trova Facebook molto utile per comunicare con i giovani. «Di buon mattino ho ricevuto un messaggio, in cui mi si avvisava che il mio nome non rientrava nelle “politiche o standard” di Facebook. Ho pensato ad un virus. Ma, riconnettendomi, mi è capitata la stessa cosa: “Non autorizziamo alcun titolo professionale o religioso”. Ho provato allora a scrivere “Padre” all’inizio, “Jim” in mezzo e “Chern” in fondo. Ma sono tornati alla carica, dicendomi: “Voi violate i nostri criteri di restrizione. Avete un minuto di tempo per cambiare il vostro nome. Se lo mantenete, disattiveremo il vostro profilo”. Wow! Ho ricevuto un avviso di espulsione virtuale ed ho un minuto per sedermi e meditare sulla mia esistenza. Ho dunque scritto “Jim Chern” e uno dei miei amici ha preso una foto per il profilo».

Così Facebook spiega la propria ingiunzione: «Facebook è una comunità, dove la gente utilizza la propria vera identità», invitando «gli utenti a fornire il proprio vero nome, quello della vita reale. In tal modo saprete sempre con chi siete connessi. Questo contribuisce a preservare la nostra comunità».

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Ma – osserva l’Arcivescovo di Oklahoma City, mons. Paul Coakley in un’intervista ripresa da Aleteia – «il provvedimento di Facebook pare applicarsi in modo ineguale. Io ho aggirato il divieto, associando il mio titolo al mio nome, “arcivescovo Paul Coakley”. Uno degli aspetti che mi ha attirato di Facebook, sono le opportunità che i social network offrono all’evangelizzazione. Voglio che la gente sappia con chi comunica, quando mi contatta. Questo tipo di restrizione non mi pare coerente col discorso sociale che i media dovrebbero promuovere».

Immediatamente e paradossalmente contro Facebook si è scatenato il popolo di Facebook con una petizione on line, per chiedere che i social network permettano ai sacerdoti di aggiungere il proprio titolo: ha raccolto oltre 10 mila adesioni sin dalle prime battute.

Lo scorso primo ottobre, Chris Cox, product manager di Facebook, aveva presentato le proprie scuse alla lobby Lgbt, per aver sospeso numerosi loro account, avendo molti di loro fatto ricorso a “nomi d’arte” e pseudonimi. Gli interessati e molti drag queens han fatto presente come l’utilizzo dei nomi reali, oltre a far perdere loro visibilità, potesse essere rischioso. I loro profili sono stati immediatamente riattivati con relativi soprannomi, senza che le condizioni di utilizzo venissero modificate. Dimostrando come tutto sia possibile, basta volerlo. O per i sacerdoti Facebook non ha né scuse, né concessioni?

In collaborazione con: nocristianofobia.org