Pakistan: altri 11 cristiani accusati di blasfemia per vendetta

Vox
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Prosegue la caccia ai cristiani in Pakistan: altri undici di loro, tutti di Islamabad, sono stati accusati in massa da una donna, Naseem Bibi. L’imputazione nei loro confronti è sempre la stessa, ricorrente, ormai persino abusata di blasfemia. In realtà, pare trattarsi soltanto dell’ennesima, vile vendetta: colei che accusa, a seguito di una lite, sarebbe stata precedentemente denunciata. Così sembra che abbia pensato di cavarsela a buon mercato, capovolgendo le posizioni e contrattaccando con affermazioni totalmente inventate. Anche perché la sua ricostruzione dei fatti appare davvero improbabile: la donna sostiene di aver subìto l’irruzione in casa propria addirittura di una cinquantina di cristiani esagitati, che l’avrebbero minacciata ed avrebbero bestemmiato contro l’islam e contro il Corano. Incredibilmente quattro delle persone da lei indicate sono state arrestate e si trovano attualmente in stato di fermo giudiziario.

Secondo quanto comunicato all’agenzia Fides dall’avv. Sardar Mushtaq Gill, l’accusatrice, Naseem Bibi, sarebbe stata un tempo cristiana. Poi, circa vent’anni fa, avrebbe apostatato e sarebbe divenuta musulmana, per sposare un altro musulmano, da cui ha avuto tre figli: «Purtroppo – ha detto il legale – sono sempre più frequenti i casi, in cui la legge sulla blasfemia viene utilizzata per danneggiare le minoranze religiose o per risolvere a proprio vantaggio dispute e rivalità oppure semplicemente come strumento di ricatto. Si tratta di una nuova consuetudine, molto pericolosa. Per questo è urgente che lo Stato ponga in stato di arresto e condanni chi venga sorpreso a lanciare false accuse».

Nella legge sulla blasfemia sono state condensati vari articoli del Codice Penale pachistano, tutti direttamente ispirati alla sharia islamica, per punire qualsiasi offesa o atto contrario ad Allah, a Maometto o al Corano. Il reato può essere denunciato da un cittadino musulmano, anche senza testimoni e senza prove ulteriori: la pena consiste nel giudizio immediato e nella successiva condanna alla reclusione o anche a morte dell’imputato.

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Il caso di Asia Bibi, ormai tristemente noto a livello internazionale, ne è un esempio: lei, madre cattolica con cinque figli, imprigionata da oltre 2 mila giorni, in attesa che la Corte Suprema confermi la condanna a morte. Nel giugno del 2009, Asia Bibi era lavoratrice agricola a Sheikhupura, nei pressi di Lahore. Un giorno le chiesero di portare acqua potabile ai propri colleghi, alcuni dei quali – tutte donne musulmane – si rifiutarono però di berla, ritenendola «impura», in quanto fornita da una donna cristiana. All’indomani, la folla la aggredì, costringendo a trasferirla al commissariato, ufficialmente «per la sua sicurezza». Qui venne però accusata di blasfemia, arrestata e perseguitata a causa della sua fede, benché abbia ripetutamente negato d’aver mai offeso l’islam.

Ma le cronache dimostrano come non si sia trattato purtroppo di un caso isolato…

In collaborazione con: nocristianofobia.org