Ora jihad fa rima anche con narcotraffico…

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Cocaina

 

Non bastano più i soldi, tanti, ricavati dalla vendita del petrolio, fatto giungere in Occidente grazie alla mediazione di Stati “amici” compiacenti, oppure il denaro strappato coi riscatti dei sequestri. Ora la jihad punta dichiaratamente anche sul narcotraffico. L’allarme è stato lanciato sul periodico on line Magharebia da Walid Ramzi e ripreso dall’agenzia ArabPress: legami sarebbero stati stretti tra i cartelli sudamericani della droga, soprattutto le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), al-Qaeda nel Maghreb islamico ed altre sigle terroristiche nel Sahel, come accertato dalle Nazioni Unite e dall’International Business Times. Di ogni grammo di cocaina diretto verso il mercato europeo, circa il 15% finirebbe nelle loro tasche. E’ un affare reciproco: per i trafficanti, che possono così transitare senza pericoli sulle coste nordafricane controllate dagli jihadisti; per gli jihadisti, perché, senza colpo ferire, possono così incamerare una grossa percentuale sugli introiti dei trafficanti.

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Per il trasporto è stato studiato un metodo denominato Air Cocaïne: tramite le normali linee aeree, dalla Colombia e dal Perù la droga raggiunge i Paesi per lo più con governi instabili e corrotti. La zona più battuta include l’ovest della Libia, il Niger, il sud dell’Algeria, il Mali e l’est della Mauritania, secondo quanto riferito dal rapporto dell’Onu. Poi, da qui, lo stupefacente viene dirottato verso il Vecchio Continente. A confermare tutto questo han provveduto alcune inchieste, avviate già nel giugno dell’anno scorso dai servizi segreti algerini, a seguito di tentativi d’infiltrazione sempre più insistenti e tali da rendere ancora più precaria la sicurezza interna dell’area. Non solo: pochi giorni fa 51 narcotrafficanti, provenienti da Ciad, Niger e Sudan, sono stati arrestati dall’esercito algerino alla frontiera col Niger, come ha confermato il ministro della Difesa. Colti con le mani nel sacco, è il caso di dirlo.

Il Procuratore del tribunale di Mila, Boughaba Abdelaziz, ritiene che tutto questo rappresenti una «grave minaccia». Anche perché spesso l’Isis mutua e copia i metodi impiegati da al-Qaeda. V’è da attendersi quindi una recrudescenza del fenomeno, se non opportunamente contrastato. Il prof. Mohammed Lalami, docente universitario algerino, ritiene che «la lotta contro questo flagello esiga la cooperazione dei Paesi della regione, in particolare Marocco e Algeria». Anche Saida Swami, Presidente di un’associazione algerina contro la tossicodipendenza, ha riferito a Magharebia di pazienti, che le avrebbero confidato l’utilizzo, da parte dei terroristi, di stupefacenti e allucinogeni, distribuiti – tra l’altro – alle giovani reclute. Tra le quali è risaputo come militino anche molti, troppi occidentali.

In collaborazione con: nocristianofobia.org