ISIS in Veneto: perquisite case di immigrati islamici

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PADOVA – Il nemico è in casa. I carabinieri del Ros di Padova hanno perquisito le case di almeno cinque indagati principali (quattro bosniaci e un macedone) dell’inchiesta su una nuova cellula terrorista del Nord Est.

Dove ci sono più immigrati, ci sono più terroristi. Perché il terrorista non nuota all’asciutto.

Si tratta di tutti immigrati regolari: integrati, li definirebbe Renzusconi.

Due islamici residenti a Belluno e partiti per la Siria, dove tagliano teste con ISIS: si tratta dell’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic (grazie a Dio morto a gennaio nei pressi di Aleppo) e Munifer Karameleski, il 26enne macedone residente a Chies D’Alpago e amico di Mesinovic (entrambi frequentatori del centro islamico Assalam di Ponte nelle Alpi).

Karameleski sarebbe invece morto durante uno scontro con le forze di Assad, a marzo. Ma gli investigatori temono possa essere ancora vivo e possa ritornare in Italia per uccidere.

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Sono accusati di associazione con fini di terrorismo e arruolamento.

Gli altri perquisiti sono P.P., altro giovane bosniaco (aveva ragione Milosevic) che vive a Longarone, e altri due immigrati di religione islamica, O.A. e V.A., entrambi residenti nel piccolo comune friulano di Azzano Decimo e assidui frequentatori del Centro di preghiera di Pordenone, dove nel 2013 potrebbero aver conosciuto Bilal Bosnic, il famigerato imam errante salafita che si muoveva tra la Bosnia, l’Austria e il Nord Italia.

Mesinovic si è portato in Siria anche il figlio di tre anni, la moglie cubana l’ha purtroppo lasciata in Italia.

V.A. è ritenuto dagli inquirenti soggetto interessante: operaio, sulla trentina, sposato con una donna slava. Ad Azzano Decimo non passa inosservato: look da predicatore islamico e parole da convinto sostenitore dell’Isis. Nelle cinque abitazioni perquisite sono stati sequestrati 5 pc e varie chiavette usb e altro materiale hardware. Nei prossimi giorni saranno analizzati dai tecnici forensi della procura.

Era attraverso i portatili e attraverso software quali Skype e Viber che i cinque comunicavano tra loro e con soggetti all’estero.

Sono tra noi grazie all’immigrazione. E qualcuno vuole renderli italiani. Loro, e i loro figli.




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