Due giorni fa, sul sito del giornale Zenit si poteva leggere un’intervista, nella quale il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e noto progressista, faceva alcune interessanti considerazioni.
Parlando del Sinodo attualmente in corso in Vaticano, lamentava, il cardinale, che i padri africani sono troppo intolleranti su questioni come l’omosessualità, che a casa loro sono considerate tabù.
In realtà, sono considerate tali, ma praticate ampiamente.
E già qui c’era una sorta di accusa progressista agli africani di essere ‘retrogradi’ – è inoppugnabile che uno dei sintomi di progresso sia la tolleranza dell’omosessualità, il problema è che il progresso, come tutte le cose della vita, non è senza conseguenze, e oltre un certo limite muta: si trasforma in decadenza. E qui noi siamo: alla decadenza. Se immaginiamo l’equilibrio come il centro di una corda, gli africani sono ad un estremo, noi all’altro.
Comunque interessante, sapere che un cardinale progressista condivida con noi la considerazione sulla capacità di comprensione degli africani.
Ma non basta. Nell’intervista è andato oltre. Ha detto che “noi non dobbiamo intrometterci troppo nei loro affari, loro non devono farlo con i nostri“.
Non fate quello che i progressisti vi invitano a fare, fate quello che fanno.
Dopo che l’intervista ha fatto il giro dell’Aula sinodale (sottoforma di fotocopia distribuita a qualche decina di padri), il cardinale Kasper ha smentito: “Sono scioccato, non ho mai parlato di africani né ho mai rilasciato un’intervista a Zenit”.
Zenit ha allora cancellato l’articolo, scusandosi. Ma il giornalista Edward Pentin, autore dell’intervista, ha pubblicato online il file audio con le dichiarazioni in inglese di Sua Eminenza. Che pensa degli africani, quello che pensiamo noi.
Dal punto di vista dottrinale ed ecumenico, Kasper ha evidenziato con le sue parole una cosa piuttosto ovvia: non esiste una Chiesa universale, esistono diverse Chiese, e quella africana è profondamente differente dalla nostra. Non si occupino, dei fatti nostri.
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