Cinese agli italiani: “Adattatevi o andatevene via”

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A Roma, dopo mezzo secolo, chiuderà uno storico locale, la pasticceria Pompi. Per essere trasformata nell’ennesimo degradante locale cinese.

Uno dei 60 dipendenti che perderanno il lavoro ha scritto questo cartello, fuori dal locale in disarmo: «Recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro. Depressione è quando lo perde un tuo familiare. Panico quando lo perdono tutti i tuoi dipendenti…60! Grazie a questo lungimirante Municipio, alle vie limitrofe e ai residenti, i cittadini non avranno più il loro punto di ritrovo a cui erano abituati da 54 anni! Avranno tranquillità e più tempo, per imparare il cinese…vista la prossima apertura, dopo la nostra storica attività romana, di un bazar o ristorante cinese».

Ma nel magnifico mondo del politicamente corretto, non solo devi accettare l’invasione – un italiano non può comprare un’attività in Cina, ma un cinese in Italia si, perché altrimenti le multinazionali che fanno affari in Cina a danno delle nostre aziende non verserebbero la tangenti ai nostri politici – ma devi anche accettarla in silenzio.

Così, il Messaggero, giornale del noto palazzinaro romano, che ovviamente adoro l’immigrazione da utilizzare nei propri cantieri, dà spazio alla bizzarra lettera di quello che definisce ‘italo-cinese’…

“Sono amareggiato ed offeso in quanto italo-cinese. Nessuno deve poter offendere gratuitamente un altro gruppo etnico esponendo cartelli di questo tipo. E pensare che la mia ingenuità aveva collegato l’immagine della lanterna in quel cartello ad una promozione della cultura cinese.
Siamo consapevoli che la crisi economica abbia creato molta disoccupazione. Se coloro che hanno scritto queste parole ritengono che la ricerca del capro espiatorio li renda migliori, allora spero tanto che nessun imprenditore assuma dei dipendenti tanto ignoranti, xenofobi ed incapaci.

L’immagine del cervello in fuga con due valigie sembra voler colpevolizzare la comunità cinese e le loro attività come unica causa della disoccupazione in Italia – continua la lettera – Se i giovani capaci vanno via da questo paese è anche perché ci sono persone come gli autori del cartello, restii al cambiamento e al progresso, e che quando qualcosa va storto non pensano di poter migliorare, ma incolpano il diverso come il male assoluto, colui che ruba il lavoro e quindi un nemico da eludere.”

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A PROPOSITO DI PROGRESSO CINESE

A PROPOSITO DI PROGRESSO CINESE

Non è mica colpa delle fabbriche con migliaia di schiavi cinesi, se le aziende regolari italiane chiudono. No, è razzista pensarlo.
Come è razzista chiedersi, come mai, mentre i negozi italiani chiudono, quelli cinesi aprono. Fossero ‘normali’, chiuderebbero e aprirebbero con la stessa intensità. E durante una crisi, avrebbero lo stesso ritmo di chiusura: ma riciclano denaro sporco. Schiavizzano i dipendenti. E quindi, ecco perché aprono, mentre gli altri chiudono.

Ad esempio: Maxi truffa sui permessi ai cinesi: 80mila falsi ‘regolari’

I cinesi in Italia non sono, ‘nemici da eludere’, come scrive in ‘italo-cinese’ il presunto lettore del messaggero, ma nemici da rispedire a casa propria. In Cina.

Perché la loro presenza danneggia l’economia e il tessuto sociale italiano. Come un cancro.

Non sarebbe sorprendente, se qualcuno iniziasse a colpire la presenza degli invasori nelle loro attività sul territorio. Un tempo la chiamavano ‘resistenza’.




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