A Ground Zero una Croce svuotata di senso

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croceResterà una croce ad indicare il museo della memoria, eretto sulle ceneri di Ground Zero, a Manhattan, New York, Usa. E questo, in apparenza, è un bene. Non resterà però in quanto segno religioso, bensì come semplice richiamo storico. E questo è decisamente un male.

Per deciderlo, si è dovuto addirittura scomodare il Tribunale federale degli Stati Uniti. Chiarissima la sua sentenza: la croce, costruita dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, non rappresenta una discriminazione verso nessuno, anzi è un «simbolo di speranza». Respinta così al mittente la polemica pretestuosamente sollevata da un’associazione professante l’ateismo militante, che – secondo quanto riferito dall’emittente Cnn -avrebbe chiesto di levare il manufatto, avendo questo una valenza confessionale ben precisa. Sarebbe stato, insomma, un’indebita commistione tra Stato e Chiesa, un’ingerenza cultuale nel secolare, un vero e proprio insulto per i fedeli di tutte le confessioni non cristiane ed anche per i non credenti.

Niente di tutto questo, secondo quanto riportato dai tre giudici nelle motivazioni del verdetto: quella croce – hanno scritto – si trova in mezzo a centinaia di altri oggetti, «per lo più di valenza laica, che garantiscono l’integrità storica e non la promozione di una fede» piuttosto di un’altra. Alta cinque metri, fu realizzata intersecando due travi di acciaio, che formavano parte della Torre nord del World Trade Center. Quelle travi furono strappate alle rovine dai servizi di soccorso e recupero, subito dopo il crollo. Sono molto più, quindi, di un semplice reperto storico. Sono la testimonianza di una pietas cristiana, in grado d’infondere «una nuova capacità di amore verso i fratelli», vedendo in essi «altrettanti figli dello stesso Padre», com’ebbe a dire San Giovanni Paolo II all’Angelus del 28 maggio 1989.

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Ridurre la croce di Manhattan a mera archeologia, a pezzo da museo rivela la volontà, di fatto, di eliminare il dato religiosa dalla società, riducendolo a banali buoni sentimenti, privi del loro senso più vero e più profondo. Come scrisse Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, «l’esclusione della religione dall’ambito pubblico» impedisce «l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. La vita pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente e aggressivo. I diritti umani rischiano di non essere rispettati perché vengono privati del loro fondamento trascendente» (n. 56).

Come ricorda il Catechismo, «la Chiesa venera la Croce, cantando: “O Crux, ave, spes unica! – Ave, o Croce, unica speranza!”» (n. 617). Ed ancora: «La croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo mediatore tra Dio e gli uomini» (n. 618). Siamo, quindi, infinitamente lontani dal significato che i giudici del Tribunale federale le hanno attribuito. Certo, meglio che stia al suo posto piuttosto che abbatterla, almeno come memento. Mantenerla, ma svuotata di senso, equivale tuttavia in qualche modo ad abbatterla. Forse non materialmente, ma di sicuro nei cuori dell’immaginario collettivo. Con l’aggravante dell’ipocrisia. E col ghigno beffardo di chi, in mala fede, sa bene d’aver, con la parvenza della sconfitta, strappato in realtà una nuova vittoria.

In collaborazione con: nocristianofobia.org