Crisi del riso: circolazione selvaggia di merci e persone distrugge settore – INCHIESTA

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Anche il riso italiano è in crisi. Quasi una azienda di riso su cinque ha chiuso i battenti negli ultimi anni e la situazione sta peggiorando nel 2014 con la perdita di posti di lavoro e pericoli per la sicurezza alimentare dei consumatori a causa dell’invasione di riso proveniente dall’Asia. Per tali ragioni è scattata la protesta di agricoltori e mondine nelle città che si trovano nei territori di produzione. Manifestazioni si sono svolte in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia e Sardegna.

E’ stato anche presentato alle istituzioni il Dossier Coldiretti per denunciare il rischio di estinzione di una coltivazione così importante per la nostra economia. L’Italia, infatti, è il primo produttore europeo di riso su un territorio di 216mila ettari. La situazione attuale è  grave a causa delle speculazioni sull’import dai Paesi asiatici che stanno schiacciando i produttori gravati da costi che hanno superato i ricavi per la varietà Indica.

La libera circolazione delle merci e delle persone, tanto cara all’Europa, ha provocato nel tempo una situazione insostenibile. Dalla Cambogia e dalla Birmania giungono enormi quantità di riso con importazioni agevolate a dazio zero, aumentate del 754% nei primi tre mesi del 2014 rispetto allo scorso anno. Inoltre si tratta spesso di “riso tossico”: solo nei primi sei mesi dell’anno, il sistema di allerta rapido Europeo (RASFF) ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica a causa della presenza di pesticidi non autorizzati e assenza di certificazioni sanitarie. Prima li fanno entrare e poi creano sistemi di controllo che puntualmente ne certificano la tossicità. Ridicolo.

Per poter competere con i prodotti asiatici le risaie italiane si sono “cinesizzate”. Oggi gran parte del lavoro viene svolto dalle macchine e il lavoro delle mondine è limitato a una mansione manuale, la selezione dei risi da seme, che al momento non ha ancora trovato sostituti nell’innovazione tecnologica. Tale attività stagionale viene oggi svolta per lo più da lavoratrici extracomunitarie, provenienti dai paesi asiatici, in particolare dalla Cina. Per poter competere con gli asiatici bisogna diventare asiatici, nel senso letterale del termine.

La “ratio” dell’immigrazione risiede proprio nella necessità di importare manodopera da sfruttare. La famosa “accoglienza” non è determinata da ragioni umanitarie, il motore di tutto è il profitto. La necessità di aumentare il profitto e ridurre i costi di produzione porta ad accogliere braccia low cost. Gli imprenditori, senza gli immigrati, sarebbero costretti ad assumere italiani  con paghe dignitose oppure ad innovare la tecnologia costantemente. Ma questo non è possibile se i prodotti italiani non vengono tutelati e si consente la circolazione selvaggia di merci prodotte senza regole. 

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La coltivazione di riso varietà Indica è calata nel 2014 di 15.446 ettari (-21,6 per cento). Per il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ”il riso Made in Italy è una realtà da primato per qualità, tipicità e sostenibilità che va difesa con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza, la pubblicità dei nomi delle industrie che utilizzano riso straniero, l’applicazione della clausola di salvaguarda nei confronti delle importazioni incontrollate, ma anche l’istituzione di una unica borsa merci e la rivisitazione dell’attività di promozione dell’Ente Nazionale Risi”.

Persino il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino (PD), nonostante la sua appartenenza ad un  partito che incoraggia la libera circolazione di merci e persone, sembra intuire il problema: “Il governo deve battersi a Bruxelles perché sia utilizzata la clausola della salvaguardia a tutela della produzione italiana”. “Chiederemo all’Unione Europea di controllare la liberalizzazione priva di controllo”. Peccato che poi, in concreto, facciano esattamente l’opposto.

Un tempo le mondine, rese popolari anche grazie al celebre film ‘Riso Amaro’ con Silvana Mangano, erano tutte italiane. Il lavoro era molto faticoso e veniva praticato da persone appartenenti ai ceti più poveri, esattamente quelli che oggi soffrono la concorrenza degli immigrati, provenienti generalmente dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia Romagna ma anche da donne dell’Italia meridionale.

Silvana Mangano nel ruolo di mondina in Riso amaro (1949)
Silvana Mangano nel ruolo di mondina in Riso amaro (1949)

Ora il mondo, il nostro mondo, è cambiato. Dobbiamo abituarci a convivere con le altre etnie e con i prodotti “sanissimi” che ci portano in dote, e questi sono i risultati.

Quanto ci manca la nostra cara vecchia Italia, con i suoi cibi sani e le sue splendide e laboriose donne.