Israele non è un Paese per immigrati: è caccia all’infiltrato illegale

Vox
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Israele non vuole immigrati, non è zavorrato dallo stigma ‘rassismo’ che impedisce ai paesi europei di essere se stessi. L’ultimo politico in ordine di tempo a dichiarare guerra agli ‘infiltrati illegali’ – così, chiamano i clandestini in Israele – è stato l’altro ieri il sindaco di Be’er Sheva, Rubik Danilovitch, che si è detto contrario allo stanziamento di fondi per alcune linee di autobus che dovrebbero trasportare gli immigrati dal centro di accoglienza di Sadot alla capitale del Neghev.

La presa di posizione si oppone alla decisione del governo Netanyahu, che in un piano per eliminare la ‘questione infiltrati’ ha previsto anche la costruzione di un campo nel deserto del Neghev dove concentrare i clandestini. Il problema è che il governo ha anche previsto lo stanziamento di sei milioni di shekel all’anno per aumentare il trasporto pubblico dal centro di detenzione degli immigrati verso altre destinazioni. Dovranno essere 16 gli autobus che partiranno (e torneranno) ogni giorno dal centro di Sadot per Be’er Sheva.

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L’impianto dovrebbe aprire fra due settimane e dovrebbe ospitare inizialmente 3.300 clandestini ma, a lavori terminati, ne ospiterà qualche altro migliaio. Gli «infiltrati» detenuti nella struttura («aperta» di giorno e chiusa di notte) non potranno lavorare e dovranno presentarsi 3 volte ai controlli. Ma saranno «liberi» di uscire dalle 6 alle 22.

Ma Danilovitch non ci sta: «sono rimasto sorpreso quando ho appreso la notizia dai media. La città di Be’er Sheva non permetterà che ciò accada». E’ un «atto irresponsabile» e si è detto determinato ad incontrare il direttore dell’ufficio del primo ministro per trovare una soluzione.

Gli oltre 50.000 clandestini e richiedenti asilo hanno due possibilità: rimanere nei centri per un anno, o ricevere da Tel Aviv una somma di denaro (1.500-3.500 dollari) e lasciare volontariamente lo stato ebraico.