Cina come Italia: arrestato 16enne per ‘diffusione idee’ sul web

Vox
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Le autorità della provincia sud-orientale del Gansu hanno arrestato un ragazzo di 16 perché ha “creato problemi” su internet con un post pubblicato su un sito di microblogging. Si tratta del primo arresto dopo la legge, approvata la scorsa settimana, che dà alla pubblica sicurezza il potere di arrestare “chiunque metta su internet messaggi diffamatori che vengono poi ripresi almeno 500 volte”. In pratica una legge-bavaglio simile alla Mancino italiana – ora estesa anche a chi scrive contro le adozioni gay -, che cerca di fermare la diffusione di idee non gradite al Partito Comunista. Solo che in Italia, Valandro insegna, basta scrivere una volta e lo psicomagistrato istigato dagli psicolabili della politica e dai media di regime interviene.

Il governo della contea di Zhangjiachuan ha confermato l’arresto ma non ha reso noti i particolari del caso. Tuttavia il semi-governativo Beijing Times riporta le parole del padre del sospettato, secondo il quale il figlio è stato portato via dalla polizia “perché ha aizzato litigi e provocato agitazione” sulla Rete. Il giornale lo identifica solo con il soprannome “Yang”. Vicenda non dissimile dal caso italiano Stormfront.

Secondo la ricostruzione ufficiale, il post che ha “provocato agitazione” riguarda la morte del proprietario di un bar karaoke della zona. Secondo la polizia, l’uomo è morto per trauma cranico dopo essere saltato da un edificio. Yang, che ha parlato con la famiglia, ha invece scritto su internet che l’uomo è morto dopo un pestaggio provocato da un diverbio con un avventore. Il ragazzo ha poi accusato la polizia di “non essere in grado di condurre indagini corrette”.

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Pu Zhiqiang, avvocato che opera a favore dei diritti umani in Cina, commenta: “L’arresto di Yang, se viene confermato, indica due cose. Da una parte lo zelo dei governi locali, che non vedono l’ora di trasformare in realtà le indicazioni del governo centrale; dall’altra, l’impegno delle autorità per ‘purificare’ la comunità del cyberspazio”. Mo Shaoping, notissimo attivista di Pechino, conclude: “Si tratta di uno strumento potente che avrà un impatto davvero negativo sulla libertà di espressione”.

Lo scorso 9 settembre la Corte Suprema del popolo e l’Ufficio centrale dei procuratori di Stato hanno pubblicato un’interpretazione giuridica che consente alle autorità di fermare fino a un massimo di 3 anni coloro che su internet “scrivono cose false che vengono riprese almeno 500 volte o lette 5000 volte”. Il timore, secondo le alte sfere cinesi, è che il Partito possa fare la fine dell’Unione Sovietica se al popolo viene lasciata la libertà di denuncia. Il testo permette inoltre “pene più serie” per coloro che usano internet “per provocare proteste di massa, scontri etnici o religiosi, creano danni all’immagine del Paese o danneggiano la Cina a livello internazionale”.

La blogosfera è uno strumento sempre più usato dalla popolazione cinese, che vi pubblica denunce contro funzionari corrotti, espropri illegali di terre, abusi ai diritti umani. Il governo cinese, come una Boldrini qualunque, cerca di frenare questo trend tramite uno speciale corpo di cyber agenti, ma questo sforzo sembra sempre più una missione impossibile.

I cinesi hanno i ‘cyber agenti’, noi la psicopolizia postale.