ASPETTANDO QUELLA VERA
Stando ai dati a consuntivo sul secondo trimestre del PIL in Europa ed ai principali commenti istituzionali dei dati usciti, il peggio è passato, finalmente possiamo tirare un sospiro di sollievo: la recessione è finita. Personalmente ritengo che l’eccesso di caldo ed afa di questa estate abbia dato alla testa a qualcuno. Andiamo per piccoli passi: dal punto di vista semantico si può parla di fine recessione in quanto dopo sei letture trimestrali consecutive negative il PIL in Eurozona accenna un modesto abbrivio positivo. Nello specifico a fine giugno 2013 il PIL europeo è cresciuto dello 0.3% rispetto alla precedente lettura di fine marzo: quindi per definizione si deve parlare di fine della recessione. Se confrontato su base annua il dato comunque è tutt’altro che confortante in quanto si attesta ad una contrazione dello 0.7%. Il dato tutto sommato è simile anche per gli USA (aumento dello 0.4% sul secondo trimestre) che tuttavia su base annua si dimostrano molto più forti e dinamici avendo un PIL cresciuto di 1.4% sulla rilevazione di giugno 2012. Il dato europeo ha galvanizzato gli animi di commentatori televisivi e giornalisti di cronaca economica ed anche alcuni esponenti politici che adesso parlano di ripresa economica a breve termine con grande disinvoltura e confidenza.
Parlare di ripresa o fine della recessione (non dal punto di vista tecnico) direi essere un atto di irresponsabilità e forse anche cecità macroeconomica. Tanto per cominciare il dato in questione è rappresentato da una lettura parziale, mancano infatti a consuntivo anche i dati di Grecia, Irlanda, Danimarca, Lussemburgo, Malta e Slovenia, i quali anche se riferiti a piccole e medie economie potrebbero impattare sul dato complessivo sul quale oggi ci si gongola. Sul piano quantitativo il risultato non è eclatante, voglio dire, dopo 18 mesi di contrazione un misero tentativo di recupero ci può stare: mi ricorda vagamente un titolo azionario quotato in borsa che sta scendendo lentamente caratterizzato da un trend ribassista ben definito, difficile pensare che una chiusura giornaliera o settimanale moderatamente rialzista possa effettivamente far presumere ad una inversione di tendenza (immaginate le candele giapponesi con un bullish engulfing pattern). Quindi il dato, tutto sommato, è ridicolo a fronte di quello che sta subendo l’Eurozona in questi ultimi due anni, soprattutto se mettiamo anche in conto sia le politiche di austerity che gli interventi di sostegno ed aiuto delle autorità monetarie europee, assolutamente accomodanti e non convenzionali.
Analizzando inoltre lo scenario sul piano macroeconomico si possono trovare delle anomalie e dati addirittura contrastanti, cominciando con i livelli di occupazione e di inflazione o di erogazione di nuovo credito, che non solo non trasmettono segnali di ripresa ma addirittura fanno presumere ad un protrarsi indefinito della crisi in Eurozona. Non possiamo avere ripresa strutturale e credibile se le principali variabili economiche che descrivono l’andamento di un’area economica sono ferme al palo o peggio ancora sono in costante contrazione e stagnazione. Proprio il dato occupazionale è in controtendenza, soprattutto nei paesi maggiormente in difficoltà a cominciare dal nostro che preventiva il livello di occupazione più basso degli ultimi quindici anni con 22.5 milioni di occupati ed invece una nuova e preoccupante stima di 3.5 milioni di senza lavoro per la fine dell’anno. Nonostante questo il Governo Letta gongola. Gongola perchè lo spread è ai minimi (235 punti base) degli ultimi due anni. Sembra incredibile questo dato con un paese arenato sulla solite beghe di due decenni di farsa politica, una inarrestabile emorragia di capitali e imprese oltre confine, lotte intestine e trasversali tra lobby, sindacati e costituzionalisti che impediscono ogni sorta di cambiamento e risanamento alla nazione.
Se ci pensate durante i cento giorni di questo governo le priorità nazionali che sono emerse a fronte dello scontro dialettico sul panorama politico possono essere riconducibili alle proposte di legge per contrastare e punire l’omofobia e il femminicidio oltre all’istituzionalizzazione dello ius soli, oltre alle vicende giudiziarie di Berlusconi sempre sullo sfondo del Paese. In vero lo spread scende perchè sta salendo il rendimento dei governativi tedeschi i quali vedono il mercato iniziare a richiedere un premio maggiore per la sottoscrizione dei titoli di stato germanesi. Lo capite anche monitorando le quotazioni, quindi i prezzi dei BTP italiani: lo spread pertanto scende come diretta conseguenza di una maggiore percezione del rischio in Germania. Ne ho fatto menzione anche in altre occasioni, abbiamo davanti a noi ancora sei settimane di limbo finanziario in attesa delle elezioni tedesche, il cui esito potrebbe destabilizzare completamente l’attuale governance politica ed economica di tutta l’Eurozona a fronte del sempre più crescente successo e consenso di Alternativa per la Germania, una nuova forza politica che propone ai germanesi di abbandonare definitivamente l’euro e ripristinare il vecchio marco tedesco. Ne abbiamo pertanto di tempo davanti a noi aspettando la ripresa, questa volta, quella vera, che sembra sempre più lontana.