Il falso ‘boom’ tedesco

Vox
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Dobbiamo sfatare il mito della ‘crescita tedesca’.

E’ vero che il tasso di disoccupazione della Germania è al 5.5% – mese di giugno – secondo più basso dell’UE, ma questa cifra è in realtà farlocca, perché quasi uno su cinque lavoratori tedeschi, sarebbe stato considerato anni fa, con le ‘vecchie statistiche’, come disoccupato, oggi invece è considerato occupato, grazie alla nuova categoria di lavori, la cui definizione di mini-job spiega tutto.

Questi lavoratori guadagnano al massimo 450 € al mese, quasi sempre molto meno. Un sondaggio del governo a pochi anni fa ha rilevato che quasi un terzo dei lavoratori nei mini-jobs erano alla ricerca di un lavoro ‘vero’, ma non sono riusciti a trovarne uno.

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E’ l’altra faccia del ‘boom’ tedesco trainato dalla Globalizzazione. La Cina con i suoi prodotti low-cost e low-quality ruba mercati a paesi come l’Italia, che è quindi danneggiata, la stessa Cina importa macchinari dalla Germania per fare i prodotti che faremmo noi. Ma per esportare in Cina e battere la concorrenza di altri paesi, i lavoratori tedeschi si sono dovuti adeguare a stipendi cinesi. E’ tutto qui, il ‘successo’ tedesco. Una finzione evidenziata dallo squilibrio tra ‘export’ gonfiato e ‘consumi interni’ asfittici, diretta conseguenza dei ‘mini-jobs’.

Come società, in Germania aumentano anche le diseguaglianze economiche interne. Di questo modello di crescita si avvantaggiano i grandi industriali, mentre a perderci sono lavoratori dipendenti e commercianti.

E’ un modello che la Germania vorrebbe ‘esportare’ in tutta Europa. Ma è un modello tipicamente ‘prussiano’ che può funzionare solo in un paese ‘militarizzato’ dove i cittadini seguono sempre gli ordini.

In sostanza i lavoratori tedeschi hanno dovuto subire una compressione del proprio benessere, per essere ‘competitivi’ nei mercati low-cost, ma questo è un modello sbilanciato e destinato a deragliare, non appena l’importatore cinese sbatterà sul muro della propria crescita.