Banche salve perché non ‘parlano’ inglese

Vox
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Le banche del Giappone hanno attraversato incolumi la crisi globale del credito in gran parte perché chi le gestisce non parlava inglese abbastanza bene per mettersi nei guai.

L’interessante tesi, viene dal ministro delle finanze del paese, Taro Aso.  Secondo Aso, i banchieri, in Giappone, non erano in grado di comprendere i complessi strumenti finanziari che sono stati alla base della rovina dei principali attori globali, così non vi hanno investito. 

“Molte persone sono cadute preda di prodotti di dubbie qualità, o cosiddetti mutui subprime. Le banche giapponesi non sono state tanto attratte da questi prodotti, rispetto alle banche europee, perché i managers delle banche giapponesi difficilmente comprendono bene l’inglese, è per questo che non comprano,” ha detto.

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I suoi commenti arrivano mentre il Giappone raccoglie alcuni buoni frutti della Abenomics, la politica economica aggressiva in campo monetario e di investimenti pubblici del premier Shinzo Abe, l’opposto dell’austerity europea. Di ieri la notizia della produzione industriale aumentata del 2% in maggio da aprile,  quarto aumento mensile di fila e l’indice dei prezzi al consumo a livello nazionale non in calo per la prima volta in sette mesi, con l’inflazione core in crescita dello 0,2% in un paese afflitto da un decennio di deflazione.

L’uscita del ministro giapponese è interessante. L’isolamento linguistico, sempre vituperato come ‘negativo’, in realtà ha due aspetti: ovviamente si perdono occasioni, ma si evitano anche errori. E in una fase in cui dal mondo economico, sociale, finanziario e culturale anglosassone non viene nulla di buono, forse, non capire bene l’inglese può evitare di commetterne gli stessi errori. Le barriere linguistiche sono una difficoltà in più al propagarsi della propaganda americana.