Un nuovo libro che chiede il ritiro dall’euro e il ritorno all’escudo è in cima alla lista dei bestseller in Portogallo.
Si intitola: “Porque Debemos Sair do Euro” – perché dobbiamo lasciare l’Euro – è scritto dal professore João Ferreira do Amaral dall’ Instituto Superior de Economia e Gestão (ISEG).
“Ora siamo in una fase in cui è sempre più evidente che la politica di austerità non funziona, nonostante tutti i nostri sforzi”, dice il signor Ferreira do Amaral: “Il passo successivo è per noi renderci conto che l’euro semplicemente non è sostenibile per il Portogallo “.
Ferreira do Amaral ha convertito alcuni sostenitori di alto profilo. Questo mese, il presidente della Corte Suprema di Giustizia Presidente, Luis Antonio Noronha Nascimento, si è schierato per l’uscita dall’euro del Portogallo.
Questo segue l’apostasia di Jerónimo de Sousa, il Segretario generale del partito comunista portoghese, che ha chiesto un referendum sull’euro e sull’Unione europea. Secondo De Sousa, l’Unione europea è “irriformabile”, è stata dirottato da una “direttorio” di poteri forti e ha portato alla morte della sovranità portoghese.
Il nuovo libro fa un crudo parallelo dell’attuale appartenenza alla Ue, con la sottomissione del Portogallo da parte di Filippo II di Spagna, quando il Portogallo divenne provincia dell’Impero spagnolo e rimase tale per 60 anni.
“Nel 1581 Portogallo si arrese alla Spagna. Nel 1992 si è inchinato ai piedi della Commissione europea sempre più in mano ai voleri della Germania. Non non c’era nessun referendum, gli elettori non sono stati mai consultati. L’élite portoghese, che sperava di beneficiare dei fondi strutturali europei, ha consegnato la nostra moneta, e con essa la nostra sovranità monetaria. Il resto è storia.”
“A partire dal 2008, la Commissione europea ha rotto con la tradizione ed è divenuta un organo al servizio di un nuovo potere. L’economia portoghese ha ceduto, soffocata dal nuovo marco. La tragedia è stata ampiamente preannunciata. Negli anni novanta diverse voci avevano avvisato i pericoli di aderire alla moneta unica”
Una di queste voci, era naturalmente l’economista João Ferreira do Amaral. Per lui, oggi, l’unico modo possibile per il Portogallo di recuperare è uscire dall’attuale struttura EMU. Abbandonare l’Euro.
A differenza di alcuni, il professore non pensa che la situazione sarà migliore qualsiasi per il Portogallo se la crisi dell’Eurozona si placa dal punto di vista finanziario. Al contrario, il danno sarà ancora più profondo dal punto di vista economico e della vita reale.
Avverte che l’euro potrebbe salire a 1,50 o 1,60 per dollaro, portando alla devastazione finale dell’industria manifatturiera del Portogallo (che compete direttamente con la Cina, Asia e Nord Africa).
La disoccupazione è sopra il 18% ufficiale, 39% per i giovani. Non c’è via d’uscita all’interno della moneta unica. Non solo per il Portogallo, ma per qualsiasi paese che non si chiami Germania.
Più l’esperimento va avanti, più il danno sarà profondo. Probabilmente irreparabile in termini di vite umane perdute.
Sì, i governi possono tenere le cose insieme, con l’aiuto della Bce forse per molto tempo. Sarebbe catastrofico. Ciò non farebbe che rimandare l’inevitabile redde rationem. Portando il danno economico e sociale in profondità.
L’euro può sopravvivere attraverso trucchi e artifici contabili o monetari, le società no. Altri due anni come quelli passati, con la disoccupazione in salita e l’economia in discesa, e sarà la catastrofe.
E quello che vale per il Portogallo vale anche per l’Italia. Si, noi abbiamo un’economia più sofisticata e un sistema produttivo a livelli di potenza industriale, ma non reggeremo molto più di quanto reggeranno Spagna e Portogallo. E poi: vale la pena “reggere”? Vale la pena sprecare ricchezze e vite umane per “l’euro”? No, non vale la pena.
L’euro era un mezzo che doveva “portare ricchezza”, secondo i suoi fautori: non l’ha portata. Ha portato crisi, povertà e fame. E’ tempo di cambiare “mezzo”. Ma quello che non vi hanno detto, è che per loro invece, è “il fine”, e in nome del fine sono disposti a tutto.