Imam di Genova come quello di Ripoll: in moschea cellula terroristica

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Tre diverse operazioni, avvenute tutte tra la metà di luglio e l’inizio di agosto, che hanno portato a indagare dieci immigrati per terrorismo islamico e a sequestri di denaro e materiale informatico.

Due di questi tre blitz erano rimasti finora segreti. In particolare, le attenzioni degli investigatori si concentrano su un gruppo composto da tre cittadini libici, un tunisino e un siriano, legati a un giro di trafficanti d’auto di Tripoli di «evidente e comprovata adesione all’ideologia religiosa islamica radicale e in particolare a quella riconducibile all’Isis». L’indagine sui libici si è incrociata, nel giro di pochi giorni, con altre due operazioni, condotte tutte nello stesso quartiere, Sampierdarena. Noto per ospitare la moschea del famoso imam ‘moderato’.

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Tutto gravita intorno alla moschea di Sampierdarena, guidata dall’imam Mohamed Naji, gia’ indagato l’estate scorsa.

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Le perquisizioni domiciliari hanno portato al sequestro di denaro contante (non si sa in che valuta) e telefoni cellulari, di cui si sta ora cercando di tracciare la mappa delle comunicazioni.

La moschea di Sampierdarena era frequentata anche da quattro marocchini, pure loro indagati. Un albanese, in odore di radicalizzazione, è finito invece in un’inchiesta del Ros dei carabinieri. Le indagini che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati dei tre libici, del tunisino e del siriano possono essere considerate la continuazione di quella che, nel gennaio dello scorso anno, portò all’arresto di altre tre persone di nazionalità libica, fermate al porto di Genova a bordo di un suv, fornito di falsa documentazione (e quindi di sospetta provenienza furtiva) e che a bordo aveva fotografie di bambini arabi armati, «guerriglieri», «kalashnikov» e «missili Katyusha».

La carcerazione dei tre durò poco, ma su di loro è rimasto il sospetto che facciano parte di una rete di trafficanti di autovetture rubate agli esponenti della nomenklatura libica ai tempi di Gheddafi per finanziare il jihad.

L’imam di Sampierdarena avrebbe fornito documenti falsi per gli automezzi rubati. A maggio la Guardia di finanza aveva sequestrato, sempre nel porto di Genova, tre container dove erano nascoste 37 milioni di pasticche di tramadol, la cosiddetta droga del combattente. Quel traffico, sostengono gli investigatori, avrebbe fruttato all’Isis 75 milioni di euro.