Le musulmane incinte sono la vera bomba islamica

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Le sue preghiere nella moschea di Ripoll proclamavano un islam moderato. Ma Abdelbaki Es Satty non solo ha avuto un ruolo chiave nella deriva radicale dei dodici giovani marocchini della cellula che ha portato il terrore al cuore di Barcellona. Sulla sua fedina penale c’è anche una precedente condanna per traffico di droga.

Nel recente passato dell’iman emerge una ragnatela che lo collega a personaggi coinvolti in alcuni dei peggiori attentati di matrice islamica: le stragi dell’11 marzo ad Atocha e, un anno prima, nel 2003, l’attacco suicida alla base di Nasiryah, in Irak, che provocò 19 morti fra i carabinieri, 9 fra i militari iracheni. Colpisce che, nonostante la trama di relazioni pericolose, l’imam non fosse sotto il radar dell’antiterrorismo.

Dal 2015 Es Satty, descritto come un uomo solitario, riservato e di poche parole, era imam della moschea di Ripoll, incarico che aveva abbandonato due mesi fa, dopo aver annunciato alla comunità Annour, una delle due moschee della cittadina di 10mila abitanti, la sua intenzione di ritornare in Marocco, dove l’aspettavano la moglie e i suoi 9 figli. Negli ultimi due anni, il leader religioso si era assentato durante alcuni periodi per viaggiare in Belgio e in Francia. E quegli spostamenti, i contatti avuti all’estero sono ora al centro delle indagini dei Mossos d’Esquadra.

Fonti investigative citate da El Periodico ricordano che Il nome di Abdelbaki Es Satty figurava già nell’operazione Chacal, sciacallo, una delle retate compiute all’indomani degli attentati di Madrid del 2004 contro presunti reclutatori di soldati della jihad, per inviarli alle zone di conflitto. Fu quando i suoi documenti di identità furono ritrovati in casa di Mohamed Mrabet Fhasi, un macellaio di Vilanova i Geltrú (in provincia di Barcellona), condannato in primo grado dall’Audiencia Nacional e poi assolto in appello, per aver arruolato terroristi. Fra questi, Belil Belgacem, il martire della jihad che, dopo aver raggiunto l’Irak, si suicidò per compiere la strage contro la base italiana di Nasiryah.

Le moschee sono l’avanguardia dell’invasione. Gli imam stanno guidando queste truppe nell’islamizzazione dell’Europa. E se il pericolo più immediato sono le stragi, queste sono solo un aspetto di qualcosa di più profondo e più pernicioso.

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Perché le stragi sono solo un aspetto della guerra in corso. Che è, come compreso da Erdogan, prima di tutto demografica.

La mappa mostra la percentuale di individui nati all’estero della popolazione dei diversi paesi europei. Prima precisione: in Italia la percentuale, ultimo dato del 2016 che comprende anche i figli di immigrati nati in Italia, è poco sopra l’8 per cento.

Altre precisazioni sono invece meno incoraggianti. Quasi drammatiche: tranne Italia e Spagna, dove l’immigrazione è recente, per gli altri Paesi dell’Europa occidentale il dato è sottostimato. Perché i nati all’estero sono una piccola parte degli immigrati residenti, visto che in Francia, Germania, GB e Scandinavia siamo ormai alla seconda e terza generazione. Quindi il dato va, almeno, raddoppiato.

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I paesi dell’Est sono un capitolo a parte. Polonia e Ungheria dimostrano che il Comunismo, con la sua ‘decrescita’ ha avuto un effetto positivo rispetto al consumismo che consuma tutto, anche la popolazione. Per gli altri, gli ex sovietici, il numero è drogato dalla presenza di russi rimasti lì dopo la dissoluzione dell’URSS.

In conclusione: è in atto un genocidio. Il nostro. Siamo come agnelli in attesa della Pasqua. Solo che noi abbiamo coscienza di questo, ma non facciamo nulla per impedirlo: eppure saremmo ancora in tempo. Catastrofi demografiche simili sono state evitate in passato: basta una rivoluzione, e poi un grande piano di rimpatri. Una reconquista del nostro spazio vitale.