Europa è in guerra con l’Islam: 339 morti in 2 anni di integrazione

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Fino ad oggi e a partire dall’attacco alla rivista satirica francese Charlie Hebdo del 7 gennaio del 2015 a Parigi, in Europa le vittime dell’Islam sono 339, i feriti quasi mille e cento. Siamo in guerra, anche se non vogliamo ammetterlo. La speranza dei buonisti è che rifiutando l’evidenza, questa scompaia da sola. Illusione che rende il problema sempre più grande.

Oggi l’esercito invasore arriva dalle nostre periferie. Figli dell’immigrazione, seconde o terze generazioni di immigrati. Cittadini per ius soli. O arriva da fuori, passando le frontiere inosservato o agevolato dalla Ong di turno.

Il bollettino di guerra ha inizio il 7 gennaio del 2015. Ma la guerra è iniziata decenni prima, quando i padri di questi assassini sono immigrati in Europa. Parigi, giornale satirico Charlie Hebdo. 12 morti. Poi c’è un epilogo di questa tragedia con la fuga di uno dei terroristi che si conclude due giorni dopo in un supermercato hosher di Vincennes. Il bilancio è di 4 morti.

Il 13 novembre del 2015 la cellula terroristica entra in azione con kamikaze che si fanno esplodere e uomini armati. Al Bataclan, locale storico di Parigi, nei bar e ristoranti del centro. Il bilancio è terribile: 130 morti e quasi quattrocento feriti.

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Nuovo anno. È il 2016. E una cellula entra in azione a Bruxelles, Belgio. 31 morti e una trentina di feriti. Due attacchi all’aeroporto di Zaventen e uno alla stazione della metropolitana di Maalbeek. I giornali raccontano del disagio degli immigrati di Maalbeek. Stranieri a casa propria. Una banlieue che appartiene a un altro mondo.

Mesi dopo, in un rapporto degli investigatori europei leggeremo che dei 12 componenti della cellula entrata in azione a Parigi, cinque avevano precedenti per reati legati alla criminalità comune, cinque su cinque per la cellula belga.

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Da Bruxelles in poi e fino a Barcellona, assistiamo ad attacchi terroristici di singoli lupi solitari. Da un certo punto di vista la miscela di operazioni militari di cellule organizzate e gesti individuali moltiplica l’effetto devastante del terrorismo. Perché la cellula espone l’organizzazione a essere smantellata dopo essere stata operativa. I singoli invece sono imprevedibili prima e dopo la loro cattura o soprattutto morte non espongono altri terroristi.

Il 28 giugno del 2016 c’è l’attacco all’aeroporto di Istanbul con 45 morti e 239 feriti. A luglio, il 14 luglio, arriva uno degli attentati più micidiali di un lupo solitario a Nizza, Promenade des Anglais. Un camion spazza via ogni corpo animato che incontra lungo la sua strada. Il bilancio è di 86 morti (tra cui sei italiani) e 302 feriti.

Quattro giorni dopo, in Germania, a Wurzburg, un estremista armato di ascia ferisce cinque persone prima di essere ucciso dalle forze di polizia. IL 24 luglio, ad Ansabach, sempre in Germania, durante una manifestazione affollata, un kamikaze si fa esplodere ma per fortuna ci sono solo 15 feriti.
Dalla Germania alla Francia. Il 26 luglio in una chiesa di Rouen due terroristi sgozzano un anziano sacerdote prima di essere uccisi dalle forze di polizia.
Arriva Berlino, con la strage di Natale. Il 19 dicembre un Tir a folle velocità entra in un mercatino a Charlottemburg. Bilancio: 12 morti e 56 feriti. Il terrorista è un tunisino che è stato in carcere in Italia per quattro anni. E a Sesto San Giovanni tre giorni dopo la strage, nel corso di un controllo di polizia, viene ucciso.

Prima la Francia poi il Belgio e la Germania. Con il 2017 i terroristi allargano l’area di intervento coinvolgendo l’Inghilterra e la Spagna. Il primo gennaio ancora una volta Istanbul. Presa di mira una discoteca: 39 morti e 69 feriti. Il 18 marzo un attentatore che aveva aggredito e disarmato una soldatessa viene ucciso all’aeroporto di Orly Sud.
Il 2 marzo un suv investe i pedoni sul ponte di Westminster davanti al Parlamento. Poi il terrorista scende dal mezzo e comincia ad accoltellare i passanti prima di essere ucciso. Il bilancio è di 4 morti e 40 feriti.
Il 22 maggio un kamikaze si fa esplodere alla Arena di Manchester, in Inghilterra, al termine del concerto di una star, Ariana Grande. Sono 22 i morti e 120 i feriti.

Il 3 giugno succede ancora a Londra. Sono 7 morti e 48 i feriti. Sul ponte di London Bridge un pulmino investe diversi pedoni. Sono tre gli aggressori che usciti dal mezzo cominciano ad accoltellare i passanti.

Tre giorni dopo a Parigi un poliziotto viene preso a martellate davanti a Notre Dame. Il 19 giugno, sempre a Parigi, sui Champs Elysées una Megane Renault prende fuoco dopo aver tamponato un furgone cin dieci poliziotti a bordo. Nessun ferito tra i gendarmi, l’attentatore muore.
Il 20 giugno fallisce un attentato dinamitardo alla stazione centrale di Bruxelles. E il giorno prima un estremista bianco al grido di «voglio uccidere tutti i musulmani» attacca la moschea di Finsbury Park: 1 morto e 11 feriti.

E arriviamo a Barcellona. dove è entrata in azione una cellula composta da una quindicina di persone. Che voleva fare esplodere autobombe per colpire la Sagrada Familia. Il piano è saltato. Il covo è esploso e i terroristi hanno ripiegato utilizzando il furgone per uccidere i passanti.

Totale, provvisorio: 324 morti. Vittime dell’integrazione. E pensare che dopo 324 morti ci sia ancora, qui in Italia, qualcuno che parla di ius soli come ‘forma di integrazione’ e ‘strada da seguire’, è osceno. E criminale.