Sentenza choc: si può fare propaganda a ISIS se video sono brevi, immigrato scarcerato

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Gafurr Dibrani, Kosovaro di 24 anni, arrestato il 3 novembre scorso a Fiesse, Brescia, dove viveva, per «apologia del terrorismo», per il Riesame deve restare libero. Secondo i giudici bresciani -che per ora hanno notificato al suo difensore, l’avvocato Marco Capra, solo il dispositivo con il verdetto – non ci sarebbero quindi elementi sufficienti per decidere in maniera diversa e disporre misure cautelari.

Dopo l’arresto, la prima scarcerazione per Dibrani decisa dal Riesame il 18 novembre e l’espulsione disposta dal ministero dell’Interno, a chiedere un secondo passaggio dal tribunale per la libertà erano stati gli ermellini della Cassazione. Che accogliendo il ricorso presentato dal procuratore aggiunto Carlo Nocerino aveva chiesto ai colleghi di riesaminare il caso del presunto jihadista della Bassa bresciana. Ma la sentenza non cambia. A far scattare l’indagine a carico di Dibrani fu un video dal titolo «Prendi la mia mano e andiamo al jihad» che aveva postato in Rete, Per gli investigatori non c’erano dubbi: il 24enne puntava a partire per arruolarsi tra le fila dello Stato Islamico. Tanto che avrebbe coinvolto anche il figlio di appena due anni immortalandolo vestito da mujahed. E che per l’accusa avrebbe avuto rapporti con Anas El Abboubi, altro presunto jihadista della porta accanto, di casa a Vobarno, partito per la Siria dopo la scarcerazione nel settembre di quattro anni fa.

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Ha sempre negato, Dibrani. «Non sono un terrorista». E «nei video – aveva sottolineato il suo legale nella memoria difensiva – non pronuncia mai la parola Isis. Nessun riferimento esplicito, per la difesa. «Non volevo fare pubblicità all’Isis, figuriamoci», ha sempre sostenuto lui. Sedici giorni dopo il suo arresto anche il Riesame, del resto, aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare del gip disponendo la libertà immediata: i giudici avevano riconosciuto che alcuni video postati sul web potessero avere valenza di adesione all’Isis, ma la breve durata della condivisione avrebbe ridotto la potenzialità di propaganda. In sostanza non poteva configurarsi apologia, ma solo condivisione ideologica.
E lo «scontro» con Roma, sul terrorismo, continua.

Da difensori della libertà di espressione – anche di chi ha idee opposte alle nostre – non possiamo che approvare la decisione di liberare chi condivide video. Questo detto, un minuto dopo lo si rimanda a casa sua. Subito. Cosa che, con lo Ius Soli, non potresti fare.

Peccato che gli stessi giudici che liberano chi esalta il terrorismo islamico, siano poi così solerti nel condannare chi usa parole come negro, clandestino e razza. E chi ritiene l’idea di un africano possa essere definito italiano una bizzarria. E poi, da quando la durata di un qualcosa ne definisce la sostanza?