Duomo Milano, islamici integrati volevano colpirlo

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«Non siamo dell’Isis», «gli imputati preparavano attentati in Italia»: Muhammad Waqas e Lassaad Briki si difendono in videoconferenza dal carcere, il sostituto pg Maria Vulpio che sostiene l’accusa invece li considera colpevoli di terrorismo internazionale e chiede la conferma della condanna in primo grado (con la concessione delle attenuanti generiche per il «buon comportamento processuale»).

Richiesta accolta dai giudici della Corte d’assise d’appello, presieduti da Sergio Silocchi, che hanno inflitto la pena di sei anni di carcere al 29enne pachistano e al 37enne tunisino.

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I due stranieri, che vivevano da anni nel Bresciano con un lavoro regolare e il permesso di soggiorno, sono stati arrestati nel luglio 2015. Le indagini della Digos e della polizia postale avevano accertato che sono gli autori di diversi tweet minacciosi con foto di obiettivi sensibili come il Duomo di Milano, il Colosseo e la stazione Centrale. Nei post comparivano cartelli con la scritta «siamo nelle vostre strade» e riferimenti allo Stato islamico. In primo grado il capo del pool anti terrorismo della Procura li aveva definiti «jihadisti della porta accanto» e il pm Enrico Pavone aveva sottolineato come fossero «ancora più pericolosi perché perfettamente integrati». Waqas è anche accusato di aver provato ad arruolare nelle file del Califfato un giovane immigrato. Ricostruendo i mesi di intercettazioni e pedinamenti, il sostituto pg ha attribuito agli imputati «espressioni feroci», come «ammazziamo i carabinieri. Non solo: «Il loro obiettivo erano gli italiani, vivevano acquattati nel nostro Paese come da manuale. Per punire i romani crociati». Avevano scaricato le regole del perfetto mujaheddin mimetizzato in Occidente contenute nel testo How to survive in the West. «Il limite – ha aggiunto Vulpio – per loro è stata la difficoltà di reperire armi in Italia». Uno degli obiettivi prescelti era la base Nato di Ghedi, non lontano da Brescia, «poi hanno ripiegato sui carabinieri, dicendo: Quello che conta è uccidere». Il sostituto pg ha concluso: «Waqas e Briki erano lupi solitari che costituivano una piccola cellula terroristica. Per fortuna sono stati fermati prima di compiere un attentato. Se non fossero stati arrestati, saremmo qui a parlare di ben altro…».

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I due giovani hanno fatto dichiarazioni spontanee. «Non ci sono prove che fossi un terrorista – ha dichiarato Waqas in un italiano quasi impeccabile -, non ho niente a che fare con lo Stato islamico. Non seguivo le istruzioni del manuale, ad esempio sulla fabbricazione di armi. A casa mia non è stato trovato nulla, neppure un accendino. Chiedo di essere estradato in Pakistan in attesa di una condanna definitiva». Anche Briki ha respinto le accuse: «Non ho mai dichiarato l’appartenenza all’Isis, il giuramento sul mio computer era solo un testo trovato sul web». I difensori Luca Crotti (Waqas) e Vittorio Platì (Briki) hanno chiesto l’assoluzione sostenendo che quelli attribuiti ai loro assistiti sono solo «intenzioni» e «pensieri», che non avrebbero mai colpito davvero.