Sposa bambina, segregata col burqa e stuprata dal marito

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La teneva segregata in casa. Quando usciva – solo con lui – vestiva il burqa. Non si vedeva la tv italiana, solamente – con la parabola – i canali in lingua araba. Poi botte, che arrivavano secondo questa ricostruzione comunque. Offese. Stupri, ogni volta che il marito voleva sesso.

Queste le ipotesi alla base dell’indagine per violenza sessuale e maltrattamenti che nella mattinata di mercoledì 10 maggio ha visto finire a processo un marocchino, per i fatti che si sono verificati tra il 2012 e il 2015, sempre secondo le contestazioni dell’accusa, in un Comune dell’Alto Polesine.

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In precedenza, un passaggio importante dell’accusa si era verificato nella mattinata di venerdì 28 ottobre: ossia l’incidente probatorio, l’ascolto, in forma protetta e garantita, della ragazza marocchina che sarebbe vittima di queste atrocità.

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Secondo questa ricostruzione dei fatti, il matrimonio viene combinato quando la ragazzina di appena 15 anni. L’incubo comincia non appena arriva in Italia. Lei, dopo avere abbondantemente sopportato, pensa di scappare, tornare in Marocco con le figlie. Ma non possono finire sul suo passaporto senza il consenso del marito. Così, presa dalla disperazione, un giorno scende in strada. Con le bimbe. Ferma una macchina, la prima che passa, con sopra una donna. “Dai carabinieri, subito, la prego”, chiede. Ora si indaga. Per ora, a carico del marocchino 30enne, quelle che sono da considerare pure ipotesi.

Nella mattinata di mercoledì 10 maggio, appunto, il rinvio a giudizio. Con la giovane marocchina che, sempre assistita dall’avvocato Cecilia Tessarin, ha scelto di costituire parte civile nel procedimento, ossia di sedere a fianco dell’accusa, aiutandola nel dibattimento, e domandare un risarcimento.