OGNI ANNO, IMMIGRATI CI FREGANO 5 MILIARDI DI EURO

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 Claudio Borghi Aquilini, responsabile economico della Lega Nord e già docente presso l’Università cattolica: «Gli stranieri – spiega – pagano 6,8 miliardi di euro di Irpef, secondo le stime della Fondazione Moressa. Questa cifra equivale, quindi, a 1.360 euro pro capite, in quanto i residenti non autoctoni sono circa 5 milioni anche se i contribuenti effettivi sono poco più di 2 milioni. Dunque non è detto, ipotizzando un bilancio pubblico in pareggio, che il gettito degli immigrati copra le spese per i servizi di cui usufruiscono».

E quindi come si arriva a 5 miliardi?

«Secondo le stime Eurostat, la sanità italiana ha un costo pro capite di 2.400 euro, dunque lo Stato impiega 1.000 euro per i servizi sanitari di ciascun immigrato. Poiché sono 5 milioni per andare in pari servirebbero altri 5 miliardi».

«Non è solo una questione di gettito, ma anche di indice Isee per usufruire dei servizi sociali che vengono erogati sulla base del reddito. Il reddito pro capite degli immigrati è inferiore di 7mila euro alla media dei cittadini italiani: questo implica che per molti di loro l’indicatore Isee sia basso consentendogli di scavalcare gli italiani sull’assegnazione delle case popolari o dei posti negli asili nido».

Ci potrebbero essere altri risvolti?

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«Pensiamo alla proposta di reddito di cittadinanza avanzata dal Movimento 5 Stelle. Si tratta di un sussidio universale da assegnare a tutti coloro che abbiano un indicatore familiare Isee inferiore ai 6.500 euro. Se questa proposta fosse approvata, tra i primi percettori dell’indennità vi sarebbero innanzitutto gli immigrati. E questo sarebbe un paradosso perché le tasse degli italiani finanzierebbero ancor di più la sussistenza degli stranieri».

C’è un rimedio?

«È quello che propone la Lega nelle Regioni dove governa: prima gli italiani. Tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge. Se un immigrato ha conseguito la cittadinanza, lavora, paga le tasse e si comporta bene nulla quaestio. Ma non si può pensare che gli ultimi arrivati possano ricevere gli stessi benefici che tutti gli altri cittadini hanno dovuto conquistarsi duramente. Ovviamente, questo non significa che non si possano riservare quote di accesso anche agli immigrati, ma in maniera diversa da quella attuale».

C’è la possibilità di colmare comunque il tax gap, cioè il differenziale tra il valore dei servizi che gli immigrati ricevono e le imposte che pagano?

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«Se c’è evasione, come accade in Toscana (Borghi è consigliere regionale; ndr) per molte aziende tessili gestite da cinesi, basta intensificare i controlli e recuperare il gettito. Per quanto riguarda il resto non ci sono soluzioni. Molti immigrati sono disoccupati e hanno lo stesso profilo dei giovani in cerca di lavoro. Dunque costa il loro mantenimento tramite servizi sociali oppure rappresentano una tassa indiretta perché alcuni delinquono. Il problema, dunque, è un altro. Sarebbe velleitario, perciò, pensare di poter recuperare gettito da chi non lavora».

Tutto giusto. Ma limitare il dramma epocale dell’invasione ad una mera questione di ‘pagamento tasse e comportamento’, ritenendo normale l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di immigrati, non è un concetto identitario. Non basta pagare le tasse per essere italiani: si è italiani perché si è figli dei figli dei figli di italiani. E’ una questione di sangue, non di oro.