Allah è entrato in fabbrica, sindacati halal

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Nasce il ‘sindacato islamico’. In Italia, per ora ne fa le veci la Cgil. Esigono moschee e permessi in linea con la Sharia.

In Francia gli operai esigono di assentarsi un’ora il venerdì per la preghiera e l’istituzione nelle aziende di una stanza adibita a moschea rivolta verso la Mecca.
Domandano agevolazioni per il mese di ramadan o ancora questo è il caso più frequente una mensa aziendale rispettosa dei precetti coranici: niente maiale e le altre carni lavorate secondo le regole «halal», quindi di animali sgozzati senza stordimento esclusivamente da altri musulmani e morti per lento dissanguamento.

Accade in Francia, per ora. Secondo l’Osservatorio dei comportamenti religiosi nelle aziende francesi, ente pubblico che monitora queste pratiche, almeno il 65 per cento dei dipendenti fedeli a Maometto domanda che i datori di lavoro rispettino scrupolosamente i dettami del Corano. Erano molti meno prima degli attentati del Bataclan, della strage di Nizza e dell’agguato all’ottantaseienne padre Jacques Hamel, sgozzato in chiesa vicino a Rouen. Che pare abbiano eccitato la comunità islamica ‘francese’, invece di farla vergognare.

In Italia c’è, purtroppo, un milione di lavoratori musulmani. Da loro arriva una lunga serie di richieste.

«Siamo stati i primi a concedere ai dipendenti musulmani una stanza per le preghiere quotidiane», ricorda Massimo Bottacin, vicepresidente e responsabile delle risorse ‘umane’ alla Castelgarden (macchine per giardinaggio) di Castelfranco Veneto, provincia di Treviso.

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«Era il 1997. La nostra produzione è per l’80 per cento stagionale, concentrata nei cinque mesi più freddi. Con la disoccupazione al 3 per cento, era impossibile trovare manodopera italiana disposta a fare questi turni. Gli assunti erano quasi tutti africani e musulmani che stendevano i tappetini per la preghiera negli spogliatoi. Anche il menù aziendale è stato adattato alle loro restrizioni alimentari. È una questione di convenienza: loro trovavano lavoro e possibilità di integrazione, noi avevamo lavoratori fidelizzati». A basso costo. E poco importa se questo significa devastare la società che ti circonda e l’ambiente in cui la tua fabbrichetta opera: l’importante è guadagnare sempre di più.

«A dispetto dello stereotipo del veneto leghista e razzista sottolinea Bottacin – qui non si sono mai verificati episodi di intolleranza legati ad aspetti religiosi. Ora, dopo la crisi, la pressione dei lavoratori stranieri si sente meno perché anche da queste parti tanti italiani sono disoccupati. Tuttavia conosco molto bene i Paesi baltici perché abbiamo aziende in Svezia e direi che lassù i problemi sono maggiori. Sono pentiti di avere aperto le porte indiscriminatamente senza una vera integrazione che da noi invece è maggiore». I problemi sono maggiori – anche Bottacin confonde i Paesi Baltici con quelli Scandinavi – esclusivamente perché l’immigrazione è più ‘radicata’, quindi le pretese sono maggiori.

A Treviso il sindacato ha posto un problema diverso, quello della sicurezza nel mese di ramadan. L’anno scorso la Cgil locale, in base a un protocollo analogo sperimentato in Umbria, ha diffuso un vademecum per prevenire eventuali rischi legati al rigido digiuno. Migliaia di lavoratori dall’alba al tramonto non toccano acqua né cibo e la perdita di lucidità potrebbe rappresentare un pericolo per sé stessi e i colleghi. «L’Inail dovrebbe attivare protocolli specifici dice Nicola Atalmi, della segreteria provinciale Cgil -. Le imprese in genere sono favorevoli a trovare accordi magari informali per le mense o il recupero del tempo impiegato nella preghiera. Sulle questioni religiose, più che ostacoli per i musulmani, a me piuttosto è capitato di sentire qualche islamico lamentarsi delle bestemmie dei veneti. A loro dà davvero fastidio, sono molto sensibili». Sono molto ‘sensibili’.

La presenza di lavoratori musulmani è concentrata in Lombardia, nel Triveneto e in Emilia Romagna e in alcune attività produttive: aziende meccaniche e metalmeccaniche, agricoltura, edilizia, servizi alla persona.

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«È giusto che la materia venga regolata da accordi aziendali e non nazionali, a volte anche taciti: ci si fida sulla parola», conferma Kurosh Daneesh, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Cgil, iraniano da 40 anni in Italia. «Le situazioni sono molto diverse ma in genere noi constatiamo una reciproca comprensione. I datori di lavoro hanno interesse a soddisfare i dipendenti, soprattutto nelle piccole imprese. Menù senza carne di maiale e permessi per la preghiera da recuperare a fine turno sono abbastanza comuni nelle realtà produttive ad alto tasso di lavoratori musulmani». Aggiunge Daneesh: «C’è attenzione anche per il ramadan perché nessuno vuole lavoratori che non si reggono in piedi. La Electrolux di Pordenone concede permessi retribuiti anche per sbrigare le pratiche burocratiche legate a permessi di soggiorno e cose del genere. Molti datori consentono di accumulare le ferie in due anni perché a volte il biglietto aereo costa come un mese di stipendio; in quel periodo i musulmani possono eventualmente compiere il pellegrinaggio rituale.».

Ci stanno islamizzando. Lentamente. Perché qualcuno ama i rolex, e perché qualcun altro pur di risparmiare qualche euro preferisce assumere musulmani rispetto a lavoratori locali. Trump sta per firmare un decreto che obbliga le imprese ad assumere prima gli americani, e noi?