Crolla natalità tra immigrati, ma si stanno prendendo le città

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Buone notizie dalla natalità degli immigrati: sta crollando. Perché non conta quanti bambini nascono in Italia, ma di che ‘tipo’ sono. E’ evidente a chiunque abbia più di un paio di neuroni che tra lo scenario di una decrescita demografica e quello di una crescita dovuta ad un boom della natalità negli immigrati, il primo è quello preferibile. Perché, come ha detto l’uomo di Trump al Congresso:

Non è con i figli degli altri che possiamo garantire la sopravvivenza alla nostra Civilizzazione.

E dà anche torto a chi pensava di utilizzare gli immigrati come riserva demografica: anche loro fanno meno figli una volta inseriti nella nostra società, il che significa che non risolveranno il problema pensioni. Anzi, lo aggraveranno, come spiega lo studioso Blangiardo, perché impiegati in attività inutili con le quali versano scarsi contributi.

In Italia anche gli stranieri hanno smesso di fare figli – o quasi – in una sorta di adattamento all’attuale modello familiare italiano E’ la fotografia scattata dal Censis nel rapporto “Fuori dal letargo: : soluzioni per una buona crescita”, secondo cui da alcuni anni le nascite di figli da genitori stranieri “si stanno riducendo e nell’ultimo anno crollano rovinosamente”. Secondo il Censis, la debolezza delle politiche familiari sta scoraggiando anche gli immigrati, che vedevano nei figli uno strumento di crescita e di riscatto sociale.

Con il risultato che negli ultimi anni si è registrato “un progressivo adattamento della popolazione straniera al nostro modello demografico, fatto di pochi figli partoriti in età avanzata”. Si è passati dai 72.096 nati da entrambi i genitori stranieri del 2015 ai 61.000 stimati del 2016, con una riduzione del 15,3%, assai superiore a quella dei nati da donne italiane, fra le quali le nascite si sono ridotte del 2,4%. In sintesi, il tasso di fecondità delle donne straniere negli ultimi cinque anni si è ridotto da 2,4 a 2,0 figli per donna, e l’età media al primo parto è arrivata a 28,7 anni, più vicina ai 32,3 anni delle italiane. Di questo passo, si spera, scenderanno sotto il nostro livello di fecondità.

Ciò non toglie che, a causa dell’immigrazione continua, ci siano 841 comuni in cui nell’ultimo quinquennio (2010-2015) la popolazione è cresciuta esclusivamente per colpa degli immigrati. In questi comuni, che si trovano in ogni area del Paese e hanno dimensioni diverse, risiedono quasi 13,9 milioni di abitanti, ovvero il 23% della popolazione. Comuni già densamente abitati che potevano vedere un miglioramento dell’habitat umano (case più grandi, meno traffico, più parcheggi disponibili, posti negli asili etc) e che, invece, subiscono l’ondata migratoria.

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I comuni più colpiti dal degrado etnico sono:

Collegiove nel Lazio (dove la popolazione nei cinque anni è aumentata del 13,3%)
Camini in Calabria (+12,8%)
Baranzate in Lombardia (+10%)

E poi c’è un’altra categoria di comuni, quelli più isolati, che distano almeno 75 chilometri dai poli urbani maggiori. In questi comuni minori, dove vivono più di 923.000 abitanti, negli ultimi cinque anni i residenti italiani sono diminuiti di oltre 10.000 unità, mentre gli stranieri sono cresciuti di oltre 13.700, con un saldo demografico ‘positivo’ di 3.685 abitanti e quindi una crescita della popolazione dello 0,4%. Con conseguente diminuzione dello spazio e delle risorse disponibili pro-capite.

Fra questi comuni minori,  Ischitella in provincia di Foggia, dove gli immigrati residenti sono 278, cresciuti del 186% nei cinque anni. Poi Sant’Arcangelo in Basilicata, dove vivono 370 migranti, che sono aumentati del 94,7% dal 2010. Poi ancora alcune isole che sono meta di turisti:

Ventotene, dove ci sono 91 stranieri su 739 residenti
Isola del Giglio, dove ci sono 129 stranieri su 1.442 residenti
Pantelleria, con 549 stranieri su 7.701 abitanti.

Tutte zone già densamente popolate, addirittura isolette. La sostituzione etnica non ‘deve’ risparmiare nessuno.
Gli immigrati ingolfano i servizi anche nelle città più grandi
Non sono solo i comuni piccoli e medi ad aver subito la presenza degli stranieri. Senza immigrati, negli ultimi cinque anni 51 dei 144 comuni italiani con più di 50.000 abitanti avrebbero visto una salutare contrazione demografica.  Ecco alcuni dati:

A Bologna la popolazione cresce di 17.010 residenti, ma i cittadini italiani sono 596 in meno e gli stranieri 17.606 in più.
A Torino si contano 16.209 residenti in più come risultato di una crescita di 28.780 stranieri e una diminuzione di 12.571 italiani.
A Napoli i residenti aumentano di 11.413 unità, frutto di un incremento di 24.340 stranieri e di una diminuzione di 12.927 italiani. In termini percentuali, nel periodo le variazioni maggiori si registrano in tre grandi comuni della Lombardia.
A Sesto San Giovanni, nonostante la diminuzione dei cittadini italiani, la popolazione complessiva è aumentata del 6,9%
A Pavia del 5,9%
A Cinisello Balsamo del 5,7%

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Parliamo di città dove i servizi sono messi a dura prova dalla presenza dei nuovi arrivati. E dove, in molti casi, i residenti italiani fuggono proprio per l’arrivo dei ‘nuovi’.

Infine una riflessione: i boom demografici seguono i cali proprio perché si ‘liberano’ spazi e risorse, aumenta la forza contrattuale del lavoro sul capitale diffondendo in maniera più equilibrata la ricchezza. Ma se al calo demografico rispondi importando immigrati, elimini il fattore che porta a successivi boom. Noi stiamo facendo questo errore.

Con un’aggravante. Importiamo male:

QUOZIENTE INTELLETTIVO NEL MONDO
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