Non vuole 30 ‘profughi’ vicino casa, a processo

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Non voleva sedicenti profughi vicino a casa. Così con le buone o con le cattive – almeno secondo l’ipotesi della procura padovana – avrebbe cercato di convincere la proprietaria dell’abitazione accanto alla sua (un medico) a lasciar perdere il progetto di trasformare quell’immobile in un vero e proprio centro profughi.

Ma lo Stato è nostro nemico, così il prossimo 3 ottobre si ritroverà davanti al tribunale di Padova, accusato di tentata violenza privata. Per avere difeso la sua famiglia e la tranquillità della sua casa. Mentre l’affarista ha dalla sua lo Stato e tutte le sue escrescenze.

A denunciarlo era stata la dottoressa che lavora una struttura privata del capoluogo. Una denuncia in cui aveva segnalato il «clima di intolleranza e di isolamento» vissuto, dopo che alcuni concittadini erano venuti a conoscenza della sua decisione di affidare a una cooperativa la vecchia villa del padre in grado di ospitare una trentina di immigrati.

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In particolare Casotto è chiamato a rispondere di essersi presentato nell’abitazione della signora e, davanti al marito di lei, di averle gridato che se avesse osato ospitare «negroni» in casa, le avrebbe «gonfiato gli occhi di botte andando a prenderla perfino a Merano se non l’avesse trovata a Bovolenta». Perché mica avrebbe poi abitato lì, la dottoressa.

Era il 15 luglio 2015. Dopo quell’episodio che aveva segnato il culmine della tensione, il medico aveva rinunciato al progetto intrapreso «non per soldi, ma spinta da intenzioni filantropiche che da sempre nutre». Ora la chiamano ‘filantropia’. Dobbiamo aggiornarci.

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Tra l’altro la signora si era stupita del fatto che quel progetto fosse a conoscenza del paese: lei si era limitata a inviare una mail al Comune e alla Prefettura, non facendone parola con nessun altro. Voleva farlo in segreto. A sorpresa.