70 ANNI FA IL MASSACRO DEGLI ITALIANI E LA GRANDE FOIBA DI OGGI

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Oggi è il Giorno del Ricordo per i Martiri delle Foibe. Oltre diecimila uomini donne e bambini, massacrati dagli slavi perché italiani, con la complicità silenziosa di altri italiani. C’è, indubbiamente, chi ha più capacità di militarizzare i ricordi e le proprie vittime. Noi, per decenni, a causa di una malsana volontà politica, abbiamo dimenticato i nostri martiri.

Ma non è solo la storia di un massacro. E’, prima di tutto, la storia dell’annientamento etnico e culturale di un popolo. La pulizia etnica di un popolo cacciato dalla sua terra. La nostra terra. La prima ad essere sfollata fu Zara, colpita dai bombardamenti degli Alleati. Era il 1944. Ma nel dopoguerra è Pola la prima città a svuotarsi. Nell’inverno del 1946, gli italiani lasciano le loro case e i loro beni, e con poche valige abbandonano per sempre l’Istria. E’ l’inizio dell’esodo giuliano dalmata, la “catastrofe dell’italianità adriatica”.

La maggioranza degli abitanti di quelle terre scelse l’esodo e abbandonò le proprie case ed i propri averi per trasferirsi oltre confine, pur di fuggire dalla nuova realtà che veniva percepita come ostile e pericolosa.
Chi invece rimase assistette in breve tempo ad uno sconvolgimento totale del tessuto sociale, della vita politica, delle relazioni economiche e umane.

Questo accadde in Istria dopo la fine della guerra e la svendita della nostra sovranità all’internazionalismo sovietico da una parte, e alla falsa liberazione americana dall’altro.
Ma sembra oggi. Basta sostituire “oltre confine”, con “oltre quartiere” e l’oggi ci parla della stessa storia.

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Gli Italiani erano maggioranza in Istria, grande maggioranza soprattutto nelle zone costiere: Pola, Fiume, Zara erano città italiane. Lo erano architettonicamente, culturalmente ed etnicamente. Oggi non lo sono più: per sovvertimento etnico. E il genocidio etnico può avvenire in due modi: per annientamento degli autoctoni, o per lenta sostituzione degli stessi per mezzo di “nuovi arrivati”. Oggi la chiamano “immigrazione”. Magari facilitato da una ondata di suicidi causata dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che poi sempre con l’immigrazione hanno a che vedere.

Non v’è differenza alcuna, in termini di esito finale, tra quello che avvenne nell’Istria italiana, e quello che avviene oggi nei quartieri delle nostre città. Lentamente, anno dopo anno, interi caseggiati e zone si spopolano di Italiani che “scelgono l’esodo e abbandonano le proprie case ed i propri averi per trasferirsi in altre zone della città, pur di fuggire dalla nuova realtà che viene percepita come ostile e pericolosa“, chi invece rimane “assiste in breve tempo ad uno sconvolgimento totale del tessuto sociale, della vita politica, delle relazioni economiche e umane“. E’ un genocidio con altri mezzi. I nipotini di Tito non utilizzano più oscure ferite nel terreno per sovvertire la demografia, oggi usano l’immigrazione. Non hanno neanche più il coraggio delle armi, sommergono invece di annientare.

E oggi come allora, non ci sono scuse per chi assiste e non fa nulla. Tra pochi decenni, nel territorio una volta chiamato Italia, bivaccheranno tutte le popolazioni del mondo, tutte tranne gli Italiani. Che saranno gettati e dimenticati nella foiba della Storia.

L’esito non è inevitabile. Si può decidere di chinare il capo e aspettare la fine, così come l’hanno preparata per noi preti, politici e intellettuali; oppure si può reagire. Reagire e combattere. Con ogni mezzo.

Fate la vostra scelta. Una gigantesca, silenziosa e buia “foiba” attende noi, i nostri figli e nipoti. Attende la nostra cultura e la nostra eredità. Per obliarla al futuro: per sempre.

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