FALLACI: “GERMANIA E’ ORMAI TERRA ISLAMICA”

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Da «La forza della Ragione», e questo un paio di milioni di islamici fa:

Quanto alla Germania che con le sue duemila moschee e i suoi tre milioni di mussulmani turchi sembra una succursale del defunto Impero Ottomano, beh…

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L’aereo Pan American che nel 1988 esplose in volo e cadde sulla cittadina scozzese di Lockerbie uccidendo 270 persone era partito da Francoforte: sì o no? La bomba nel bagagliaio era stata messa a Francoforte da figli di Allah abitanti a Francoforte: sì o no? Mohammed Atta, il kamikaze numero uno dell’Undici Settembre, s’era laureato in architettura al Politecnico di Amburgo: sì o no? Prima di recarsi in America per frequentare i corsi di volo in Florida, aveva studiato pilotaggio all’aeroclub di Bonn: sì o no? I soldi per pagare i corsi in Florida erano stati ritirati da una banca di Dússeldorf e la centrale logistica di Al Qaida si trova in Germania: sì o no? Il grosso dei terroristi egiziani o maghrebini o palestinesi stanno in Germania: sì o no?

Che il sogno di distruggere la cattedrale di Colonia fosse una stoltezza come distruggere l’Abbazia di Westminster e la Tour Eiffel incominciai a comprenderlo quando seppi che il più importante rifugiato politico di quella città era Rabah Kabir, l’ex-maestro di ginnastica su cui ancor oggi grava l’accusa d’aver compiuto il massacro del 1992 all’aeroporto di Algeri. Nonostante le richieste di estradizione inoltrate dal governo algerino, l’asilo politico gli era stato concesso senza difficoltà e da allora vive lì. A Colonia ha addirittura ottenuto la cattedra di teologia, è addirittura diventato un alto funzionario dell’Unione Islamo-Europea… Che la Pinacoteca di Dresda rischiasse ancor meno della suddetta cattedrale lo pensai invece quando lessi che in otto scuole medie ed elementari della Bassa Sassonia era stato introdotto l’insegnamento del Corano, e vidi la fotografia che accompagnava la notizia. Era la fotografia di due bambine turche, suppongo nate e comunque cresciute a Dresda o a Meissen o dintorni. La più grandicella, otto o nove anni, indossava una T-shirt con la scritta «Air Force» e al polso esibiva un orologio da uomo. La più piccola, sei o sette anni, un occidentalissimo golfino. Ma entrambe erano imbacuccate fino alle spalle nello hijab. Voglio dire: sebbene i loro genitori venissero dal paese che nel 1924 Atatúrk aveva secolarizzato, entrambe portavano il velo che il Corano impone fin dall’età di sette anni. E non dimenticare che in Turchia, quella Turchia tanto ansiosa di entrare nell’Unione Europea, lo hijab lo stanno rimettendo quasi tutte le donne delle nuove generazioni.

Non dimenticare che in Turchia, quella Turchia che i leader tedeschi francesi italiani sono così ansiosi di portare nell’Unione Europea, avvengono ancora cose degne di Lala Mustafa lo spellatore di Marcantonio Bragadino. (L’anno scorso a Yaylim, villaggio turco ai confini con la Siria, la trentacinquenne Cemse Allak venne lapidata dai suoi familiari, perché in seguito a uno stupro era rimasta incinta. La gravidanza aveva raggiunto gli otto mesi, quando la lapidarono. E il commento della cognata fu: «Che dovevamo fare? Era zitella. Aveva perso l’onore». Il commento del fratello fu: «Stupro o no, ci aveva disonorato»). In Germania, del resto, la mafia fondamentalista costringe gli immigrati a detrarre dal salario la cosiddetta Tassa Rivoluzionaria. Tassa che serve a finanziare i partiti islamici della madre-patria ossia i partiti decisi a spazzar via il ricordo di Atatúrk.