Tubercolosi a Trieste: 150 bimbi dovranno rifare test

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TRIESTE – Circa centocinquanta bambini dovranno rifare il test anti-tubercolosi. Si tratta dei bimbi che hanno avuto un contatto diretto con la pediatra ammalata di Tbc tra agosto e settembre, vale a dire nelle otto settimane antecedenti il primo esame diagnostico eseguito tra la fine di settembre e inizio ottobre.

DIFFUSIONE TUBERCOLOSI
DIFFUSIONE TUBERCOLOSI

Le famiglie sono già state avvisate. La conferma arriva direttamente dal direttore generale dell’Asuits Nicola Delli Quadri e dal direttore del Dipartimento di prevenzione Valentino Patussi. «Nessun allarme – avverte Delli Quadri – stiamo mettendo in atto quanto indicato dai protocolli internazionali».
La necessità di sottoporre nuovamente i piccoli al Mantoux è una misura precauzionale che il Dipartimento ha deciso di prendere per escludere un’eventuale incubazione della patologia su quella parte di bambini che sono stati avvicinati nel periodo considerato.

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«Il discorso è semplice – rileva Patussi – e rientra nelle linee guida che stiamo seguendo. In sostanza il nostro sistema immunitario ci mette più o meno venti giorni per riconoscere il bacillo di Koch, il microbatterio della tubercolosi, e reagire. Ma la risposta immunologica completa si realizza dopo otto settimane.

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Superato questo lasso temporale, sono certo del risultato dell’esame. Ma se si fa il test prima di quelle otto settimane – precisa – non posso essere pienamente sicuro dell’esito. Il bambino, cioè, potrebbe rallentare la risposta. È per questo che dopo otto settimane va ripetuto il Mantoux, in modo da avere la certezza della negatività. A quel punto il bambino è tranquillo».

In questo arco temporale, che tecnicamente viene denominato “periodo finestra”, in cui inizia il riconoscimento dell’antigene, «è necessario attivare la profilassi. Cioè un antibiotico da somministrare anche di fronte a un test negativo. Il vantaggio di trattare precocemente un’infezione, rispetto ai danni di un antibiotico, è estremamente superiore».
In buona sostanza vengono richiamanti i bimbi che sono stati visti dalla pediatra nei due mesi che hanno preceduto l’esame diagnostico preventivo, proprio perché risultano ancora in quel “periodo finestra” in cui non vi è l’assoluta certezza che il Mantoux possa essere del tutto veritiero.

I bambini sono stati testati prima delle otto settimane proprio per intercettare eventuali casi di positività a livello precoce e bloccare immediatamente una possibile crescita batterica. «In questo modo – evidenzia Patussi – puoi trattare immediatamente i bambini.
Ma solo la ripetizione dell’esame ti dà la sicurezza necessaria, visto che in quelle otto settimane il sistema immunitario potrebbe non aver riconosciuto il germe. Se il test è nuovamente negativo – conclude il direttore del Dipartimento – la profilassi si può concludere. Nulla di cui temere – ci tiene a ribadire – è una prassi. Chi deve rifare il controllo ha già ottenuto il secondo appuntamento».

Immaginate quando vi dicono che il migrante non è infetto perché l’hanno guardato, da lontano, mentre sbarcava…