BREXIT: la riscossa di Sangue e Suolo?

Vox
Condividi!

death-of-major-pierson

Non è ancora facile commentare in modo pacato il risultato del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, figuriamoci definirne il significato profondo e riflettervi sopra.

Le grida e le reazioni esagitate del campo sconfitto non accennano a placarsi, e, anzi, pare aprirsi una stagione di inedito disordine in reazione al paventato rischio di disgregazione della cosiddetta Unione Europea. Tuttavia, proprio da queste reazioni scomposte e dal linguaggio sfacciatamente minatorio assunto contro il Regno Unito, mi è possibile interpretare l’esito di questo voto in chiave völkisch, e con delle buone ragioni.

Metto però prima di tutto le mani avanti, a scanso di equivoci: non amo la nazione inglese. Non amo affatto la Gran Bretagna, clima pessimo, cucina anche peggiore (fatta eccezione per la colazione e il pudding natalizio), ma sopratutto per il ruolo che ha assunto nella Storia d’Europa. Popolo detestabile, gli inglesi: sempre di traverso a guastare qualsiasi progetto imperiale che portasse ad un’unità, o anche solo ad un’egemonia imperiale sul Continente, che ne avrebbe riportato ad equilibrio e stabilità simili a quelli goduti ai tempi di Roma. Sempre contro, ma mai disposti a farsi carico, loro, di un progetto simile. Meglio favorire la cosiddetta “balance of powers”, che poi di bilanciato non aveva un bel nulla, ma assicurava guerre periodiche che insanguinarono l’Europa drenandone le energie migliori per secoli. Ho sempre detestato profondamente uno Stato che, a partire dal XVII secolo, è scivolato sempre più nelle mani del materialismo demoniaco dell’economia finanziaria, divenendone il maggior centro mondiale, intriso di razionalismo ateo e sempre più identificantesi con forze oscure come la massoneria, nemico di qualsiasi grande ideale unitario che non fosse quello delle proprie banche e manifatture.

Tuttavia, oggi la situazione è ben diversa. Sì, anche stavolta c’è un progetto di egemonia continentale, ma esso non ha nulla a che fare con quelli del passato, fondati su ideali universalistici come quello monarchico degli Asburgo e dei Borbone, sulla ripresa del mito dell’Impero di Bonaparte, e sulla visione germanica di società guerriera erede del prussianesimo del Reich guglielmino. Il progetto continentale della cosiddetta Unione Europea non ha nulla di ideale, ma è semplice atto di supremazia delle forze del grande capitale finanziario, specchiantesi nell’ideologia ufficiale secondo cui il modello liberista, dopo l’89, è l’unico possibile, oltre che il migliore in assoluto, e destinato a compiersi in uno strano ritorno di messianismo al rovescio in cui non è il futuro a doversi realizzare, ma è il presente a doverne prendere il posto, con una grottesca mummificazione della società urbana occidentale in cui Borsa, consumismo e moda, nuova Trinità del Materialismo a-storico, cancellano persino l’idea di progresso ponendosi come il non plus ultra dell’umanità realizzata.

Ma anche Londra, la capitale britannica, è una metropoli, mi si dirà. Senz’altro: lungi dal negarlo, la riconosco come il prototipo della metropoli ideale occidentale, ammasso tumorale di cemento, senza orizzonte di giorno e senza cielo stellato la notte, brulicante di esseri umani ciascuno diretto verso la propria porzione di nulla, senza neppure guardarsi in faccia, benché striscianti a fianco di altri 50,000 esseri umani in mezz’ora di camminata ad Oxford Street. Proteiformi e scialbe creature senza più destino, trascinantisi da un cubo di cemento ad un altro, quando non spostantisi per canali sotterranei, come insetti o vermi dentro ad un immenso cadavere.

So cos’è una metropoli, ci ho vissuto dopo aver lasciato la campagna e la vita di provincia in un atto di estrema ribellione, rinnegando e radici e storia personale, in una parentesi durata anni, anni di delusione, di solitudine e di oscurità. È allora che ho iniziato a sentire come quella terra, quel pezzo di orizzonte, quelle zolle su cui i miei antenati avevano riversato le loro vite, senza lagnarsi di non essere nati nel “gran mondo”, ma come se fosse un destino naturale e giusto per il solo fatto di essere, avesse lasciato delle radici che mi penetravano ogni fibra come la rete di vene e arterie, chiamandomi a sé, scorrendomi nel sangue e pulsandomi nelle carni con muta cocciutaggine, sino a che, ritornato, alla fine di quell’esperienza fallimentare, con un’allegria di naufrago, sono tornato a lei, riconoscendone i diritti che solo ciò che è Destino può vantare sul vivente.

Quindi non poteva meravigliarmi che, nel voto britannico, la provincia, la campagna, chi è maggiormente a contatto con la Terra e con il suo respiro eterno, silenzioso eppure incessante, abbia votato contro l’Unione Europea. Insieme, anche questo senza nulla di sorprendente, ai ceti proletari, ai semplici lavoratori, agli anziani: ossia a coloro i quali, per età, formazione, condizioni di vita, risulta più impermeabile alla propaganda onnipresente che tenta di spacciare la speculazione come unica via per una società “normale”, e il consumo in crescita illimitata come l’unico obbiettivo di una tale “vita”. Ho trovato naturale che la voce della Natura, dello Spirito, di tutto ciò che si innalza al di sopra della materia inerte, parlasse in coloro le cui orecchie possono ancora sentire la voce del Sangue e del Suolo, quelle dell’identità del singolo nascente dalle radici nel proprio gruppo nazionale (che altre radici non si danno, se non nella testa malata dei lobotomizzati dal ciarpame propagandistico liberal-liberista), identità che si manifesta innanzitutto nei luoghi e negli uomini che hanno visto l’individuo nascere, identità che si sente, non si impara, tramite la stratificazione di esperienze, vite, respiro storico di generazioni innumeri rimaste fedeli forme create nei millenni. Come stupirsi, dunque, che Londra abbia votato massicciamente per il servaggio euro-finanziario? La metropoli per eccellenza, è città dove gli inglesi etnici sono minoranza. Anche laddove somaticamente abbiano conservato tratti indoeuropei, sono completamente incapaci di reazioni anti-sistema, dopo il lavaggio del cervello che li ha resi docili adepti del verbo ufficiale per la società multi-razziale, gender, laica e (ovviamente) strutturata attorno al dogma dell’economia finanziaria. Non gravita forse attorno alla City? Non ha forse eletto, quale sindaco, un pakistano?

Vox

Tout se tient. Le masse urbanizzate e irregimentate al pensiero unico mondialista, tipi post-umani senza più radici né sogni che non siano la riproposizione eterna del presente rafforzato ed estremizzato, uomini e donne senza dèi né eroi, senza orizzonti ideali né collocazione sociale definita, senza neppure sesso, in prospettiva (un’amica fortemente progressista e pro-gender mi contestava il fatto che la natura umana “non è limitata alla divisione binaria uomo-donna”, senza poi definire quanti siano i sessi, e lasciando quindi l’identità sessuale fluttuare nell’incerto e vago universo gender, dove tutti sono un po’ tutto. Ha votato per il “remain”, ovviamente). La manovalanza ideale per i progetti egemonici del Capitale Finanziario, le demo-plutocrazie così ben definite da un certo Mussolini, insomma. Ovvio che la metropoli, regno dell’inorganico, ove tutto ciò che è vivo, definito, legato al mondo, compenetrato dai ritmi della vita universale, quindi Popolo, Terra, Sangue, decada, degeneri e muoia, scolorendo in una poltiglia informe che della vita ha solo la vuota apparenza del movimento (un movimento frenetico che, a ben vedere, non porta da nessuna parte) sia l’alleato migliore dei progetti di dominio sovra-nazionale di entità, come l’Unione Europea, che nascono grazie alla negazione stessa dell’organico, e di tutte le sue manifestazioni vitali (si pensi ai colpi inferti al settore agricolo con le ricorrenti campagne terroristiche per motivi vagamente sanitari, e concretantisi nell’abbattimento di bestiame e, ultimamente, di ulivi, patrimonio che ha impiegato secoli a formarsi e conservarsi). Un’entità, l’UE, governata dalla più esemplare, nella sua mostruosità, classe dirigente dei tempi moderni: anti-nazionale, perché senza una nazione di riferimento; tecnocrate, perché inserita in un sistema burocratico tanto complesso che nessuno tranne loro riesce a raccapezzarcisi; oligarchica, perché non risponde ad alcuna volontà popolare, prona agli interessi dell’Alta Finanza perché nessun’altro, al di fuori dei lobbisti che bivaccano a Strasburgo come a Bruxelles, può avervi accesso ed influenzarli con denaro o minacce.

L’esplosione di furia rabbiosa contro gli elettori britannici, una volta palesatosi l’esito del voto, ha poi chiarito il resto. Insultati come vecchi, retrogradi, provinciali, indegni del voto, costoro erano, in realtà, proprio questo, ma in senso ben diverso da quello inteso dagli euro-burocrati e dai loro leccapiedi. Certo, vecchi, perché legati a ritmi e concezioni dell’esistenza di tempi ormai dissolti. Provinciali, naturalmente: solo chi vive nella provincia, dove il tempo scorre ancora scandito dalle albe e dai tramonti, in cui è importante quanta pioggia cade e ci si conosce tutti almeno di vista, può sfuggire all’omologazione totale che vorrebbe rendere il mondo un’immenso macdonald popolato da anonimi replicanti. E retrogradi, infine: impermeabili a chi vuol far passare il lavaggio del cervello che vorrebbe cancellare ogni differenza di razza, sesso, età, ruolo sociale, in nome di un ridicolo ideale che vorrebbe quale massimo risultato la poltiglia umana metropolitana sensibilissima all’uscita del nuovo i-phone, ma inerte di fronte alla manipolazione massiccia dell’informazione e delle elezioni cosiddette “democratiche”.

Sì, questo sono stati coloro i quali, di fronte ad un’offensiva senza precedenti di menzogne, pilotata dall’alta finanza e che ha usato persino l’omicidio come arma per influenzare il voto, hanno risposto con l’orgoglio dell’appartenenza ad una terra, ad una tradizione, ad un gruppo nazionale (in due parole: uno stesso genius loci). Sono stati la risposta dello spirito del Sangue e del Suolo allo sradicamento morale, materiale e spirituale operato dalla civiltà del denaro impazzita e avvitata su sé stessa. E che questo sia avvenuto in quello che fu il centro da cui il virus dell’economicismo e dell’affarismo come ideologia totalitaria e forma organizzata di espansione e dominio ha infettato cinque continenti, rende l’accaduto ancora più impressionante e di vitale importanza. Certo, Londra ha votato compatta per la perpetuazione del suo status di metropoli senza passato e senza futuro, senza cuore e senza volto. Ma, a appena qualche miglio dalla City e dalle sue marionette dagli occhi bruciati sui listini e sui corsi azionari, forze antiche, forze ataviche, forze identitarie, hanno levato la testa e colpito duro. È un segnale che dovrebbe impressionarci. E che rimette in chiaro, come già l’annessione della Crimea, un fatto solido come il bronzo: la Storia non è finita, perché, semplicemente, non finisce. Le cose continuano ad accadere, come hanno sempre fatto. E chi pensava fossimo ormai giunti, come nell’incubo di un marxista malato di depressione, in una fine di ogni epoca, intrappolati per sempre in un eterno presente di colore liberal-democratico, si è semplicemente preso in giro da sé.

Quel che succederà non è in mio potere dirlo (odio le previsioni: sono il metodo più sicuro per coprirsi di ridicolo). Ma ora anche i più scoraggiati fra noi sappiano che le forze della disgregazione, dell’annichilimento anti-nazionale, della disumanizzazione finanziaria e commerciale, non sono invincibili. E che, per la prima volta, hanno subito una disfatta nel cuore stesso del loro sistema globale, ad opera non di orde semi-barbare troppo isolate e ignoranti per poter apprezzare i “benefici” delle magnifiche sorti e progressive, ma per mano degli stessi cittadini di uno degli Stati su cui più a lungo si sono appoggiate per realizzare la loro opera sciagurata. E scusate se è poco.

 

Fonte: Identità.com

Brexit: un risorgere della voce di Sangue e Suolo?