Suning Inter: l’alba del tifoso consumatore con la bandierina

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Con il passaggio dell’Internazionale Milan al gruppo cinese Suning, tanto acclamato dai media di distrazione di massa – tutto ciò che spinge alla globalizzazione fa eccitare le menti deboli di chi è terrorizzato dall’apparire provinciale -, si dimostra una volta di più che il calcio è passato da essere uno sport ad essere l’ennesimo prodotto di consumo per le masse.

Lo era da tempo. Ma lo era in modo meno eclatante, conservava, ancora, un qualcosa di romantico. Già la sentenza Bosman aveva data una mazzata notevole: un tourbillon di giocatori privo di senso e la quasi scomparsa della connotazione etnica delle squadre. I soldi delle banche spagnole (finanziate da tutti i contribuenti europei) e l’osceno flusso di petrodollari aveva fatto il resto.

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Lo iato tra stipendi dei calciatori e quello medio in Europa ha raggiunto livelli da disgusto. Basti pensare che lo stipendio mensile del calciatore oggi più pagato arriva ai 3 milioni di euro netti. Circa 2.000 volte lo stipendio medio normale. Negli anni novanta il rapporto era di 200 a 1.

Che senso ha, andare allo stadio a tifare gente che guadagna quelle cifre? Che senso ha trasformarsi in clienti consumatori di un agglomerato con sede in Cina? Perché questo, saranno, da oggi, i tifosi dell’Inter per i nuovi proprietari: clienti consumatori.

Il calcio è tutto da rifondare. Come il resto. Le squadre devono essere dei tifosi, e avere un legame totale con il territorio.