L’ultima follia di Renzi: dare asilo a chi non sopporta il caldo

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Buon ultimo, è arrivato anche Paolo Gentiloni. «Non sono soltanto le guerre in Siria e Iraq ad avere un impatto sui flussi migratori», ha detto il ministro degli Esteri del governo italiano intervenendo ad un convegno organizzato dalla Bocconi di Milano, «ma anche l’aumento demografico mondiale e i cambiamenti climatici che in Africa causano siccità e carestie, che stanno colpendo, ad esempio l’Etiopia e il Mozambico». Quale sia dunque la linea del governo è chiaro: come l’essere in fuga da una zona di guerra garantisce lo status di rifugiato, allo stesso modo si dovrà accordare lo statuto giuridico ad hoc anche a quanti si trovino a scappare dalla siccità e dal riscaldamento globale. Tradotto con sintesi appena più brutale: porte aperte a chi fugge dal caldo.
Fosse solo una fola partorita dal capo della nostra diplomazia, ci sarebbe da stare preoccupati il giusto. Il problema, però, è che il titolare della Farnesina giunge al supremo momento del salto sul carrozzone dei climate migrants quando ormai stanno finendo anche i posti in piedi.

Ultima moda – È infatti da qualche tempo ormai che quello dei migranti climatici è un tema di centrale attualità per cancellerie, istituzioni internazionali, terzo settore ed opinioni pubbliche di riferimento. Per dire, sono già passati sei anni da quando il tema si è imposto all’attenzione mondiale mediante passaggio allo chicchissimo Sundance film festival dell’ormai celebre documentario Climate refugees dello statunitense Michael Nash. Si è imposto talmente tanto, il tema dei rifugiati da global warming, che ormai non c’è consesso più o meno istituzionale che non lo abbia fatto in qualche modo proprio.

In prima linea non può che esserci l’Onu, il cui organismo dedicato ai rifugiati (Unhcr) avvisava già nel 2009 che «nel prossimo futuro i cambiamenti climatici diventeranno il maggior fattore di mobilità per le persone sia all’interno dei confini nazionali sia attraverso di essi». Oggi l’impatto degli immigrati climatici viene stimato in 250 milioni di persone entro il 2050. Al Palazzo di Vetro hanno preso talmente sul serio la cosa da metterla al centro dell’ultimo megavertice sul clima, tenutosi in autunno a Parigi poco dopo i tragici attentati del 13 novembre e le cui conclusioni sono solennemente state sottoscritte dagli Stati membri ieri a New York. Qui si discusse lungamente (pur senza arrivare ad una conclusione univoca) su come aggiornare i regolamenti internazionali che disciplinano la concessione dello status di rifugiato alla situazione presente, includendo nel novero degli eleggibili non solo coloro i quali siano in fuga da stati di persecuzione ma anche quanti scappino da «effetti climatici antropogenici di macro-livello».

E se a tracciare il solco è l’Onu, a difenderlo non potrà che essere l’Unione europea. Che sul tema dei rifugiati climatici ha parlato chiaro per bocca del proprio massimo rappresentante: «Dobbiamo agire presto e non c’è tempo da perdere», ha infatti detto il presidente della Commissione Jean Claude Juncker nel dicembre scorso per propiziare il successo proprio della conferenza di Parigi, «perché se non troviamo l’accordo, nei prossimi vent’anni i rifugiati non si conteranno più a centinaia di migliaia, ma a milioni». E nessuno dica che a Bruxelles si sono svegliati tardi solo perché si sono messe di mezzo le Nazioni Unite: è infatti almeno un lustro che il Parlamento europeo è al lavoro per elaborare le linee guida legali e politiche per arrivare a cambiare l’approccio – così come recita un imponente studio prodotto qualche anno fa dall’istituzione – nei confronti dei fenomeni di «emigrazione ambientalmente indotta».

Anche il Papa – Né poteva mancare la Chiesa. Nella recente enciclica “Laudato sì”, papa Francesco traccia infatti un parallelo molto chiaro tra emergenza ambientale e flussi migratori. Antifona che sarebbe stata chiarita da Bergoglio in persona qualche mese dopo visitando il quartier generale delle Nazioni Unite in Kenya: «Coloro che fuggono dal degrado ambientale», ebbe allora a dire il Pontefice, «non vengono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa». Al capitolo Italia si segnala il ministro dell’Ambiente Gian luca Galletti, secondo cui quello migratorio «è anche un tema ambientale, perché con i cambiamenti climatici in atto i migranti di domani saranno esclusivamente climatici». Meno male che un posticino per Gentiloni era rimasto.

LA BUFALA DEI ‘PROFUGHI CLIMATICI’

L’ultima bufala diffusa dai media di distrazione di massa – che sarebbe divertente, non fosse per l’obiettivo di utilizzarla come ennesimo catalizzatore dell’immigrazione – è quella dei cosiddetti ‘profughi climatici’. Una kyengata di proporzioni gigantesche anche per chi è abituato a spararne di enormi.

In fuga da casa, terra e lavoro per colpa di disastri meteorologici, desertificazione del suolo o innalzamento del livello delle acque: sono i migranti climatici. Un esercito sterminato, ma ancora senza un adeguato riconoscimento e spesso identificati genericamente come migranti economici. In realtà, denuncia un rapporto di Cespi, Focsiv e WWF Italia, dal 1998 al 2014 oltre 157 milioni di persone (circa 25 milioni all’anno) sono stati costretti a spostarsi per eventi meteorologici estremi: soprattutto tempeste, cicloni e alluvioni che colpiscono molto di più dei terremoti.

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In realtà, le alluvioni e le tempeste ci sono sempre state, e nessuno ‘migra’ perché piove. Uno dei luoghi più colpiti – da sempre – da eventi climatici estremi, sono gli Usa.

Non solo. L’anno passato si è toccato il minimo storico, per quanto riguarda i disastri naturali.

The Geneva-Switzerland based International Federation of the Red Cross recently released its 2014 Natural Disaster Report.

90% less deaths: A total of 8186 people died in 2014 because of natural disasters. Bild reports: “2014 the number of deaths from natural disasters was almost 90 percent under the 10-year average of 76 500 deaths.”

In 94 countries there were a total of 317 floods, earthquakes, forest fires, cyclones and a number of other nature events with deaths. “But that was the lowest number in 10 years“.

Avete capito? Nel 2014 il numero dei morti per disastri naturali era il 90 per cento in meno rispetto alla media del decennio. Il numero di disastri è stato ai minimi da dieci anni a questa parte.

Non proprio il trend che fa pensare a ‘profughi climatici’.

Nei giorni scorsi, ad ulteriore conferma della idiozia di questa ‘emergenza’, il governo della Nuova Zelanda ha espulso Ioane Teitiota. L’uomo voleva asilo come ‘profugo climatico’ perché, secondo lui, l’isola di Kiribati da dove proviene sta ‘finendo sott il livello del mare’. I neozelandesi hanno riso, poi l’hanno rispedito a Kiribati.

Voi fate lo stesso, quando leggete la bufala dei ‘profughi climatici’. Non esistono. Sono come i ‘profughi’ che in questo periodo arrivano dall’Africa: clandestini.