Alfano: “Non serve conoscere italiano per avere cittadinanza”

Vox
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Siamo al ridicolo. Gli immigrati devono avere la cittadinanza italiana anche se non in grado di giurare in Comune in lingua italiana.
Lo scrive direttamente il ministero dell’Interno contro i sindaci, il più delle volte leghisti, che non fanno giurare i finti nuovi italiani, che non conoscono la nostra lingua.

Il mese scorso, per esempio, è successo a Brugnera, un comune in provincia di Pordenone, dove il sindaco Ivo Moras ha rimandato a casa un immigrato perché “nonostante sia in Italia da vent’anni – ha spiegato Moras – il signore ha dimostrato di non saper né leggere né comprendere la lingua italiana”. Il caso è finito in Parlamento, con un’interrogazione presentata dai deputati leghisti.

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Ieri ha risposto il ministro dell’Interno, l’irresponsabile Angelino Alfano, spiegando che anche se non sanno giurare in italiano, non importa.

Quel giuramento “rappresenta la fine di un processo, di un iter per la cittadinanza, che sancisce la fine di un percorso di integrazione. Non è una pura formalità, ma esprime in modo solenne la volontà dello straniero di entrare a far parte della comunità nazionale. Una volta concluso l’iter e adottato il decreto di concessione della cittadinanza da parte del presidente della Repubblica un’ulteriore verifica volta ad asseverare quanto già accertato in sede istruttoria non è tecnicamente ammissibile e sarebbe comunque estranea ai profili e ai principi procedimentali”.
“La posizione presa dal sindaco di Brugnera, che contesta la competenza linguistica dello straniero, intendendo invalidare l’intero procedimento, non appare confortata da disposizioni normative che ne suffraghino in alcun modo la legittimità – ha concluso Alfano – e potrebbe dare luogo, se reiterata, all’esercizio dei poteri sostitutivi”.

Sia chiaro, il fatto che un immigrato comprenda l’italiano non significa che sia italiano, come il fatto che un italiano che parla cinese non diventa cinese, ma che non sia nemmeno una condizione minima, è ridicolo. Evidentemente, chi aveva dato all’immigrato l’attestato di conoscenza della lingua italiana, lo aveva fatto in cambio di ‘qualcosa’.