Le bufale del FQ sui ‘profughi africani’

Vox
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Il Fatto Quotidiano non ha bisogno di presentazioni. Ha pubblicato un articolo bufala nel quale ci spiega perché, anche agli africani e non solo i siriani, sono profughi. E fa una lista.

Ridicolizziamo la tesi punto per punto..

La Libia del post Gheddafi è un altro paese in guerra, con due governi in carica e zone al di fuori di ogni controllo statuale, cui si aggiunge la porzione di territorio sotto il controllo di ISIS. Punto di raccolta delle rotte migratorie che convergono sia dall’Africa subsahariana che dal Medio Oriente, da qui partono i barconi che affollano da tempo il mar Mediterraneo. Curiosamente, però, i libici non partono. Non verso l’Europa, almeno. Sono in tanti ad aver varcato i confini con la Tunisia e l’Egitto, in fuga temporanea. Ma sui barconi no, non arrivano. Forse perché sono i primi a sapere quanto alti siano i rischi.

Non c’è nulla di ‘curioso’, i libici non partono perché stanno bene in Libia. Gli africani partono, perché usano la Libia ‘senza governo’ come punto di lancio. Tutto qui.

 

Eritrea, Gambia e le altre dittature
In tanti fuggono da paesi schiacciati da dittature spietate. In primis, l’Eritrea, altra ex colonia italiana, da cui fuggono tutti quelli che possono, in particolare i giovani. Sono spesso loro ad affollare i barconi, insieme ai somali. Scappano da un dittatore, Isaias Afewerki, al potere dal 1993, che opprime ogni spazio di libertà personale, che obbliga ragazze e ragazzi al compimento dei 18 anni ad un servizio militare infinito, che appena avverte aria di dissenso sbatte gli oppositori reali o presunti in carceri da cui è difficile uscire vivi. Tutto è in mano al governo. Anche le vite delle persone. Non tanto diversa è la situazione del Gambia, piccola striscia di terra incuneata nel Senegal, paese anglofono dominato da Yahya Jammeh, un padre-padrone che non ammette dissenso. Al potere con un golpe dal 1994, soffoca ogni libertà personale e reprime il dissenso con veri e propri squadroni della morte. Situazione aggravatasi dopo il tentativo di colpo di stato dello scorso dicembre, a cui ha fatto seguito un’ulteriore ondata repressiva, fatta di arresti e torture. A luglio, il presidente ha annunciato l’aumento dei reati punibili con la pena di morte. Per questo il Gambia è il più piccolo paese africano e ha solo due milioni di abitanti, ma attualmente è il 3° paese di provenienza dei richiedenti asilo.

Quindi dovrebbe accettare ‘profughi’ anche dagli Stati Uniti, dove vige la pena di morte?

La leva militare obbligatoria è un motivo per dare asilo politico?

Gli squadroni della morte sono una licenza poetica del Fatto: non esistono. Esistono due dittature, ed è meglio, visto che senza in quei posti vigerebbe l’anarchia.

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Burundi, Guinea e i regimi autoritari
Molti altri sono i regimi autoritari in Africa, ma non tutti generano flussi migratori verso l’Europa, anche se chi ci prova ottiene in genere asilo. Citiamo il caso del Burundi, situazione che negli ultimi mesi è rapidamente degenerata: il presidente uscente ha violato la costituzione facendosi votare per un terzo mandato, nonostante mesi di proteste, e ora il paese è in bilico fra la dittatura e la guerra civile. Sono circa 150mila i burundesi fuggiti da aprile nei confinanti Rwanda, Congo e Tanzania. Solo una delle crisi politiche che si prospettano il prossimo anno in Africa centrale, dove ad oggi ci sono altri tre presidenti (Rwanda, Congo Popolare e Congo Democratico) pronti a emulare il burundese Nkurunziza e modificare la costituzione per farsi votare ancora, innescando una dinamica molto pericolosa per tutta la regione, che può potenzialmente innescare scontri e ingenerare – tra l’altro – nuove ondate di profughi. Arrivi che invece continuano da altri paesi dove non si può parlare di vere dittature, ma di regimi non democratici, in genere frutto di golpe, che non rispettano i diritti umani. È il caso della Guinea e della Guinea Bissau, da cui in tanti approdano sulle nostre coste.

Nemmeno l’Italia ha un governo democraticamente eletto. E il Parlamento è incostituzionale. Lo stesso Premier si basa su una maggioranza acquistata al mercatino di Villa Wanda.

Costa d’Avorio e i Paesi post-conflitto
Vari sono i paesi che escono da conflitti sanguinosi. Alcuni di questi attraversano la fase dei regolamenti di conti. Ad esempio, la Costa d’Avorio, paese ora pacificato, ma il cui ex capo di stato è sotto processo alla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Chi era dalla sua parte ora lascia il paese, per sfuggire a possibili ostracizzazioni e vendette.

La guerra (più che altro una faida) è finita da anni. Chi era dalla parte dell’ex capo di stato è più facile sia un ex tagliagole, più che un profugo.

Nigeria, Ciad, Camerun e Niger infestati da Boko Haram
Esistono Boko Haram e gli Al Shabaab, ma anche altri gruppi (quasi tutti di matrice islamica) che infestano intere regioni, in particolare nella zona del Sahel. Gruppi feroci, che radono al suolo vite, tradizioni, cultura. Boko Haram e la follia del suo capo Abubakar Shekau seminano il terrore non solo nel nord della Nigeria, ma ormai anche nel nord del Camerun, nel sudest del Ciad e nel sudovest del Niger, gli Al Shabaab che dalla Somalia terrorizzano sempre più il Kenya (ultima, la strage al campus di Garissa), ma ci sono altri gruppi di cui sentiamo meno parlare ma che non per questo sono meno virulenti: c’è Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico), che dall’Algeria si è spostato in Mali, dove troviamo anche Ansar Eddine che infesta il nord del Paese, cui vanno aggiunti i gruppi armati che rivendicano l’indipendenza del nord del paese, un caos che la missione Onu Minusma fatica a fronteggiare. E tanti sono i maliani che approdano sulle nostre coste, così come i nigeriani, i nigerini e in misura minore i ciadiani e i camerunesi. In questi casi, alle autorità spetta un compito non facile, per discernere chi fugge da una zona di pericolo da chi proviene da zona tranquilla ed è dunque da considerarsi migrante economico. Dalla Nigeria, per esempio, arrivano in tanti, ma non tutti dalle zone sotto la longa manus di Boko Haram.

Già è ridicolo parlare di Nigeria – LEGGI QUI PERCHE’ – figuriamoci dei paesi accanto!

Somalia, Libia e i Paesi in guerra
In cima alla lista, c’è la Somalia. Dopo il crollo del regime di Siad Barre, nel 1991, è piombata nel caos, trasformandosi in un Paese senza Stato, in cui si sono avvicendati governi deboli incapaci di mantenere il controllo del territorio. Una guerra civile, di cui in tanti hanno approfittato (ricordate le scorie tossiche e nucleari che costarono la vita a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin?), poi la pirateria (ora quasi del tutto sconfitta), l’estremismo che è passato dalle Corti islamiche agli Al Shabaab, che oggi, respinti nella zona a sud del paese, sconfinano sempre più spesso in Kenya. La crisi più acuta è passata,  ma la situazione resta difficilissima, gli attentati nella capitale continuano a mietere vittime e tutta l’intellighentia e la classe media del paese è fuggita tra Europa e Nord America. Chi scappa ora ha certamente diritto all’asilo. E ha un nucleo familiare a cui ricongiungersi. La diaspora somala è tra le più nutrite al mondo.
Ma la Somalia disastrata di cui parliamo è la parte sud del paese, dove si trova la capitale Mogadiscio. Per intenderci, l’ex colonia italiana. La parte nord, quella che fu colonia inglese, vive una relativa normalità: il Puntland e il Somaliland, dichiaratisi autonomi dalla capitale, anche se non riconosciuti dalla comunità internazionale, sono paesi relativamente tranquilli. Relativamente: tra le due regioni, una terza si è di recente dichiarata indipendente, il Khatumo State, generando scontri al confine e un contenzioso tutt’ora aperto.

La Somalia è in parte l’unica zona di guerra in Africa. Il problema è che i cosiddetti profughi che arrivano via mare vengono dalla parte settentrionale del paese. Perché non partono i disperati, partono le classi medio-alte coi soldi.




Un pensiero su “Le bufale del FQ sui ‘profughi africani’”

  1. Pura persuasione. Vogliono convincere l’opinione pubblica di cose non vere, e che i negri subsahariani vanno accolti come profughi. Che schifo di giornalismo.

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