Le multinazionali vogliono il ‘matrimonio’ gay

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Corte supremaChe il mondo Lgbt svolga un’azione di lobbying, contando peraltro sull’appoggio di personalità ricche e potenti, è fuor di discussione, evidente in sé. Gli Stati Uniti, in ogni caso, ne han dato l’ennesima riprova. Su pressioni di Morgan Lewis, 379 aziende statunitensi hanno inviato alla Corte Suprema (nella foto) un documento di 127 pagine a sostegno del “sì” definitivo alle “nozze” gay. E non stiamo parlando di piccole imprese a conduzione familiare, bensì di nomi come Bloomberg, Coca-Cola, Pepsi, Facebook, Apple, Google, eBay, Amazon, Procter&Gamble, United Airlines, Delta Air Lines, Groupon, Hp, Microsoft, Twitter, American Express, Visa, Bank of America, JPMorgan Chase & Co., Deutsche Bank, Cbs Corporation, Boehringer Pharmaceuticals, Johnson & Johnson, GlaxoSmithKline, Intel Corporation, General Electric Company, Colgate-Palmolive Company, Walt Disney.

Una vera e propria invasione di campo, quella messa in scena con arroganza dal mondo economico con l’esplicito proposito di influenzare il verdetto dei giudici. L’offensiva scatenata contro il Doma-Defense of Marriage Act è stata, del resto, uno dei principali obiettivi della campagna pro-gay sostenuta in prima persona dal Presidente Obama.

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Val la pena ricordare come, di contro, la Conferenza episcopale statunitense, già nel 2003, abbia emanato un documento dal titolo Tra uomo e donna: domande e risposta sul matrimonio e sulle unioni omosessuali, in cui si legge tra l’altro: «Non ci può essere alcuna separazione tra fede e vita, né in ambito pubblico, né in ambito privato. Tutti i Cattolici devono agire in conformità al loro credo e sulla scorta di una coscienza ben formata, fondata sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione. Ciò è particolarmente urgente alla luce della necessità di difendere il matrimonio, nonché di opporsi alla legalizzazione delle ‘nozze’ omosessuali».

La Corte Suprema inizierà solo il prossimo 28 aprile a studiare i ricorsi presentati contro il divieto alle “unioni” omosessuali, che è ancora in vigore in quattro Stati, Michigan, Ohio, Kentucky e Tennessee. Evidentemente, però, il cartello di sigle “gay friendly” ha preferito giocare d’anticipo. La sentenza, che è prevista a giugno, secondo le anticipazioni, dovrebbe spianare la strada alla legalizzazione del “matrimonio” tra persone dello stesso sesso in tutta la Confederazione. Dopo il via libera dell’Alabama, infatti, son saliti a 37 su un totale di 50 gli Stati che lo autorizzano. Da tener presente, tuttavia, come in ben 24 di questi Stati a “sdoganarlo” non sia stata una legge, bensì sentenze giudiziarie emanate per rivendicare un presunto “diritto”, totalmente inventato e peraltro non contemplato neppure dalla Costituzione Usa. Un chiaro esempio della tanto declamata “democrazia” negata. Anzi, tradita.

In collaborazione con: nocristianofobia.org